Arte araba: lo scenario contemporaneo

Quando si parla di arte araba, si pensa spesso ad arabeschi, ornamenti e calligrafia. Attraverso le opere di artisti arabi contemporanei ci si distacca dall’immaginario comune, viaggiando attraverso un’arte fortemente sperimentale da un lato, e restando attaccati alle tradizioni dall’altro.

Spesso guidati da un forte impegno sociale, nel corso del ventunesimo secolo gli artisti arabi contemporanei sono riusciti ad assumere maggiore visibilità, ma il loro processo di integrazione nel panorama mondiale resta ancora lento. Con la speranza di contribuire all’incremento della loro risonanza, il seguente articolo propone una selezione di cinque artisti dei paesi MENA.

Ganzeer, Egitto

Nella Street Art di Mohamed Fahmi, artista egiziano conosciuto sotto il nome d’arte Ganzeer, non ci sono regole: esce sia di notte che durante le prime ore dell’alba, le sue opere si trovano in posti nascosti o su pareti ben esposte. nGanzeer significa “catena di bicicletta”, nome che riflette la sua idea di artista, il quale secondo lui dev’essere agente di spinta e di cambiamento: non a caso è stato lo street artist più attivo durante il periodo delle Primavere Arabe, soprattutto per le strade del Cairo. Prima dello scoppio delle rivolte, nella capitale non sembravano esistere graffitisti, le pareti erano intonse per via dell’autocensura e la paura del politically incorrect, ma una volta che piazza Tahrir venne occupata gli artisti sentirono di avere un messaggio da dover comunicare e una missione da compiere attraverso l’arte.

Tra le sue opere risalta “Tank vs Bike” (carro armato contro bici): un ragazzo in bici fermo di fronte a un carro armato simboleggia da una parte la normalità e dall’altra il controllo militare sul paese. Il murale ha suscitato numeroso critiche e, nel corso degli anni, è stato più volte modificato da fazioni pro-esercito e anti-esercito. Arrestato e poi rilasciato in seguito alla sua realizzazione, Ganzeer ha dichiarato:

Spesso ci si dimentica che le strade sono della gente. Si pensa che siano una sorta di entità controllata dal governo ufficiale, ma è importante ricordare ai cittadini che le strade sono di loro proprietà.
Inoltre, data la sua partecipazione alla Primavera egiziana e il suo essere apertamente critico verso la figura del Presidente Al-Sisi, nel 2014 è stato accusato di sostenere la fratellanza Musulmana e il terrorismo.

Tarek Al-Ghoussein, Kuwait

Nato in Kuwait da nonni palestinesi e cresciuto negli Stati Uniti, ha cominciato la sua carriera come fotogiornalista e fotografo documentarista grazie a suo padre, da anni al lavoro come giornalista per l’ambascia kuwaitiana negli Stati Uniti.

E’ oggi conosciuto come visual artist, impegnato soprattutto nella fotografia paesaggistica: dando le spalle allo spettatore affronta vasti deserti, spazi marini e mura.

La sua serie fotografica più nota è intitolata “Self-portrait”, dove l’artista stesso si raffigura all’interno delle sue foto indossando una kefiah, tradizionale copricapo palestinese, mentre cammina davanti a un aereo, nel deserto, su un lungomare o di fronte ad edifici abbandonati.

Sebbene sia evidente che la figura non rappresenti una minaccia, il copricapo potrebbe indurre alcuni spettatori a presumere che sia un terrorista, ed è proprio il tipo di reazione istintiva che l’artista desidera suscitare. In un’intervista racconta di quando stava scattando una di queste foto nel Mar Morto:

Un poliziotto mi ha fermato chiedendomi cosa stessi facendo e perché stessi indossando la kefiah. Da quel momento ho capito il profondo significato che si porta addosso questo copricapo e quanto anche in Medio Oriente, non solo dunque in Occidente, sia diventato un simbolo legato al terrorismo.

Più recentemente l’artista ha iniziato a fotografare paesaggi desertici, muri e barriere, facendo riferimento alle barriere vere e proprie che impediscono ai palestinesi di muoversi liberamente, così come alle difficoltà stesse che Al-Ghoussein non riesce a superare per poter comprendere il mondo arabo.

Sliman Mansour, Palestina

Il lavoro di Sliman simboleggia l’identità e la resilienza palestinese, il suo stile incarna la fermezza di fronte all’implacabile occupazione militare israeliana, ispirando generazioni di attivisti palestinesi.

Nato nel 1947, ha trascorso la sua adolescenza tra Betlemme e Gerusalemme: l’aver vissuto l’occupazione della West Bank (attuale Cisgiordania) nel 1967, ha profondamente segnato quello che è oggi il suo stile: utilizzando simboli legati alla vita, cultura e storia palestinese, trasforma l’arte in una forma di resistenza. Le donne vestite con abiti tradizionali rappresentano la terra e la rivoluzione, le immagini di Gerusalemme e la Cupola della Roccia richiamano il sogno di riappropriarsi della madrepatria, le speranze di un popolo che da decenni vive sotto occupazione.

Heja Rahiminia, Iran

Artista nato nel Kurdistan iraniano, appartenente alla corrente della fotografia semi-surrealista. Attraverso dei contrasti molto netti, le sue fotografie si concentrano attorno alle disparità sociali: di fronte a vasti paesaggi desolati si fanno strada minuscole figure di profughi, come se fossero formiche, invitando così l’osservatore a guardare più da vicino e interrogarsi sul significato dell’opera. Quello che Heja intende rappresentare nelle sue foto è il fenomeno migratorio, e gli scatti aerei sono voluti per creare maggior contrasto tra la vastità dei luoghi percorsi e la piccolezza dell’uomo, mentre l’utilizzo del bianco e nero cela un velo di mistero.

I wanted to create something that showed the reality of things.

Parte dei suoi lavori riguardano anche la difficile situazione del popolo curdo: lui stesso ha vissuto parte del conflitto curdo-turco e la progressiva scomparsa dell’identità di questo popolo. A partire dal 2007 ha cominciato a lavorare a una serie di ritratti di persone curde, viaggiando in diverse parti del Kurdistan realizzando un archivio chiamato “Kurdish Typology“.

Sara Shamma, Siria

Nata a Damasco e trasferitasi a Londra dopo aver conseguito una laurea in arti pittoriche, oggi Sara utilizza la sua arte per parlare della guerra civile siriana, del dislocamento dei profughi e dell’impatto che il conflitto ha avuto sul traffico di vite umane.

Il suo interesse per la psicologia associata alla sofferenza degli individui è ben visibile nei suoi dipinti, che hanno come principale protagonista la morte, convinta che sia proprio quest’ultima a dare un significato alla vita. Affrontando un argomento tipicamente tabù crea dipinti figurativi caratterizzati da dettagli viscerali, a tratti un po’ macabri: tramite l’utilizzo di particolari oli e tempere le sue opere assumono un aspetto iperrealistico.

Alessandra Soldi


Fonti

Articoli simili