Flee: una fuga intima e disarmante nel film capolavoro di Jonas Poher Rasmussen

Flee, “fuggire”: scappare da guerre, persecuzioni, fame, morte ma anche fuggire da un passato che diventa trauma e si fa bugia, sepolta, nascosta in un abisso di ingiustizie. Fuga: un tema attualissimo di cui narra il regista danese Jonas Poher Rasmussen, attraverso la storia dell’amico Amin Nawabi, in un film d’animazione che s’intreccia sapientemente a fonti documentarie. Il capolavoro cinematografico di Rasmussen è rivelatorio: da portavoce di una storia intima e personale, quasi sussurrata, si fa denuncia della tratta di esseri umani e mette a nudo un sistema di accoglienza e integrazione solo apparentemente funzionante.

Amin (pseudonimo utilizzato per proteggere l’identità del protagonista) si stende su un tappeto, la telecamera lo riprende dall’alto, lo si vede in un mezzo primo piano frontale; è riluttante a parlare della sua storia, non l’ha mai fatto: nessuno conosce il suo passato. Il regista (che compare nelle scene animate) è quasi sempre di spalle, seduto: fa domande all’amico per incoraggiarlo a continuare il racconto e cerca di metterlo a suo agio. In questa prima sequenza il metacinema ricrea mediante l’animazione un avvenimento reale per mostrarne il senso più profondo e la sua complessità. Jonas Poher Rasmussen utilizza questa formula durante tutto il lungometraggio: tecnica che permette di avvicinarsi al protagonista che si emoziona raccontando il proprio doloroso passato, ma che consente anche di indagare sui sentimenti inespressi e le verità nascoste dello stesso. Ai ricordi che si susseguono per immagini animate, però, si intrecciano anche fonti documentarie (spezzoni di telegiornali, riprese di vita quotidiana a Kabul e a Mosca) che rendono l’opera ancora più fedele al suo intento.

Rasmussen conosce Amin all’età di quindici anni: lo vede per la prima volta sul treno; il paese è piccolo e non impiegano molto a fare amicizia nonostante il silenzio del giovane appena arrivato. Amin non parla mai del suo passato e nonostante l’amicizia con Jonas si faccia più forte non ha la forza di raccontare. Solo molti anni dopo il protagonista, in procinto di sposarsi con il compagno, trova il coraggio di condividere la sua esperienza con l’amico.

Amin aveva lasciato l’Afghanistan dopo il ritiro delle truppe sovietiche dal Paese e la successiva presa di potere dei mujaheddin. Era ancora bambino mentre con la madre, il fratello e le due sorelle si rifugiava a Mosca per scappare da quella che sarebbe stata, altrimenti, morte certa. Il suo passato, taciuto, non è stato tale solo per i traumi subiti durante i tentativi di fuga dalla Russia post Unione Sovietica affidati alla tratta di essere umani e ad una polizia estremamente corrotta, ma anche perché il trafficante che si occupò di farlo arrivare in Danimarca gli consigliò di mentire sulla sua identità per non essere rimandato in Afghanistan. Il “fuggire” diventa quindi l’unica chance di sopravvivenza: una costante che lo accompagna fin da bambino e poi anche da ragazzo nella repressione dell’omosessualità che riteneva sarebbe stata inaccettabile per la sua famiglia.

Come si fugge dalla propria identità, dalla propria sessualità, dalla guerra e dalla morte in una volta sola? Come si può fuggire dovendo nascondersi, restando immobili dentro un piccolo appartamento per settimane, mesi, anni?

Le violenze subite da Amin in Afghanistan e poi in Russia hanno segnato la sua adolescenza portandolo a vivere in uno stato di allerta perenne dove dare fiducia al prossimo non è possibile e l’unico obiettivo è sopravvivere di nascosto.

Flee è un film estremamente psicologico e allo stesso tempo coraggioso e pacato, dove l’animazione (troppo spesso associata per abitudine al pubblico meramente infantile) diventa il solo modo per testimoniare la crudeltà di certi fatti. Le immagini di repertorio, invece, sembrano aggiungere alla pellicola quell’autenticità per cui diventa impossibile pensare che quanto visto non sia vero, un po’ come se fosse ancora necessario rimarcare il fatto che non si fugge da “guerre finte” ma reali, in ogni parte del mondo.

Dopo essere stato presentato al Sundance Film Festival 2021, Flee ha ricevuto tre nomination ai premi Oscar 2022 come miglior documentario, miglior film d’animazione e miglior lungometraggio in lingua straniera.

Erika Nizzoli

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