Kurdistan: tra storia e resistenza

La parola curdo کورد vuol dire coraggioso, guerriero, e racchiude in sé la storia di un popolo ancestrale della Mesopotamia, tutt’oggi privo del suo ruolo democratico, dei diritti umani, di uguaglianza, di libertà e di un suo legittimo Stato.

I curdi sono un popolo iranico di lingua indoeuropea, non esiste un censimento che ne riporti un numero preciso ma si stima che le cifre oscillano tra i 35 e 45 milioni di appartenenti, rendendolo un gruppo etnico tra i più numerosi del Medio Oriente. Pur non avendo un proprio Stato riconosciuto, si parla di Kurdistan, ovvero il Paese dei Curdi, per indicare l’area geografica in cui essi risiedono: la maggior parte, circa 12 milioni di persone, si trova in Turchia, mentre la restante è distribuita tra Iran, Iraq e Siria.

In seguito alla dissoluzione dell’Impero ottomano e la creazione degli Stati nazionali dopo la prima guerra mondiale, i curdi hanno reclamato uno Stato autonomo in cui poter risiedere, ma non sono stati ascoltati. Il Kurdistan possiede in abbondanza materie prime quali petrolio, minerali e risorse idriche, ragione per cui i Paesi sotto i quali ricade non sembrano disposti a rinunciare a quei territori.

Mappa del Kurdistan, fonte immagine: www.limesonline.com

Mappa del Kurdistan, fonte immagine: www.limesonline.com

Le origini

Facendo un passo indietro, la storia di questo popolo è molto antica: risale al VII secolo il primo scritto in lingua curda, la civiltà musulmana è ricca dei loro contributi in ambito musicale e militare. Dal 1169 la dinastia curda degli Ayyubidi, di cui Saladino fu il fondatore, ha regnato sul Medio Oriente musulmano, e nel corso del 1500 sono stati instaurati rapporti di riconoscimento reciproco tra i principi curdi e i sultani ottomani.

Nell’Ottocento, durante la tanzimat ottomana –il periodo di riforme e modernizzazione dell’Impero– le autonomie dei principati curdi terminarono, e lentamente si afferma nel popolo curdo l’idea di un’azione comune e d’indipendenza, ma tutti i tentativi di ribellione sono stati repressi con forza.

La prima guerra mondiale

La nascita della “questione curda” coincide con la fine della prima guerra mondiale, che ha cambiato totalmente l’assetto del Medio Oriente e ha avuto delle gravi ripercussioni su buona parte di quei popoli che aspiravano all’indipendenza. La sconfitta della Turchia porta con sé un iniziale sentimento di speranza ai popoli di diverse nazionalità, lingua e cultura che componevano l’ormai disgregato Impero Ottomano: il Presidente degli Stati Uniti Thomas Wilson, nel suo discorso noto come i “14 punti”, si batté per far riconoscere ad ogni popolo il suo Stato, sancendo il principio di nazionalità, e più precisamente chiese a Francia, Inghilterra e Italia di concedere autonomia alle aree a predominanza curda.

Il Trattato di Sèvres, firmato nel 1920 fra gli alleati della prima guerra mondiale, volto a regolare le questioni territoriali riguardanti l’ex Impero Ottomano, prevedeva un referendum per la creazione di un Kurdistan indipendente nell’Anatolia orientale, che mai si tenne. Nel Trattato di Losanna di tre anni dopo, i territori abitati dai curdi vennero spartiti tra Turchia, Iraq, Iran e Siria, andando così a sfumare la possibilità di uno Stato autonomo.

“I curdi non differiscono in nulla dai turchi, e questi due popoli, anche se parlano lingue diverse, formano una sola entità etnica, religiosa e con gli stessi costumi” furono le parole pronunciate dalla Turchia di Kemal durante la Conferenza di Losanna per motivare la sua decisione.

Per cosa si lotta?

Da circa quarant’anni la regione è attraversata da conflitti tra i governi centrali e la minoranza curda, un decreto legge ha vietato tutte le scuole e associazioni curde, ci sono state numerose dislocazioni forzate e continue repressioni: in risposta, i curdi sono passati alla lotta armata e sono oggi organizzati in un vero e proprio movimento popolare di liberazione nazionale.

La Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa ha più volte denunciato come non vengano garantiti ai curdi i diritti basilari. Si tratta di un popolo con una propria lingua, una propria etnia e una propria cultura, tutti elementi fondamentali che rendono forti e legittime le loro richieste di autonomia e il diritto di esistere.

Donne della resistenza curda in Rojava, fonte immagine: Quaotidiano.net

La situazione in TurchianNel 1978 Abdullah Öcalan, studente di scienze politiche ad Ankara, fonda il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Denunciando lo scarso progresso fatto nel riconoscimento dei diritti dei curdi, negli anni ‘80 il PKK passò alla lotta armata. I suoi metodi violenti provocarono numerose vittime, anche civili, motivo per il quale è oggi ritenuto un’organizzazione terrorista da Turchia, Stati Uniti ed Europa.

Nel 1998 lo stesso Öcalan arrivò in Italia sperando di ricevere asilo politico: il governo italiano non poté né rimpatriarlo in Turchia, Paese in cui era ancora in vigore la pena di morte, né concedergli asilo. Nel 1999, quando era ormai chiaro che non avrebbe avuto asilo politico in Italia, mentre veniva trasferito verso il Kenya Öcalan venne subito intercettato dalla CIA e trasferito in un carcere di massima sicurezza in Turchia, condannato all’ergastolo.

La Siria

Fino allo scoppio della guerra civile nel 2011, i curdi siriani vivevano sparsi tra le principali città del Paese, senza rivendicare un territorio autonomo. Si sono poi uniti alle rivolte contro il regime siriano di Bashar al-Assad, il quale ha sempre negato loro il riconoscimento di diritti fondamentali. Hanno creato delle zone autogestite attorno alle città di Kobane, Afrin e Jazira, nel territorio siriano conosciuto come Rojava.

Sono noti per una visione della religione musulmana aperta e tollerante, spesso incarnata dalle formazioni di sole donne che nel recente conflitto siriano hanno combattuto contro le milizie dell’Isis nelle fila dell’Unità di Protezione delle Donne (YPJ).

L’Iraq

I curdi iracheni hanno vissuto un periodo di forte repressione in seguito al conflitto tra Iraq e Iran (1980-1988) e, in generale, durante il regime di Saddam Hussein.

La svolta arriva con la Seconda guerra del Golfo, quando una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti porta alla caduta del regime di Hussein e impone una zona di interdizione al volo, dando la possibilità ai curdi di sperimentare l’autogoverno: il governo riconosce allora l’autonomia del Kurdistan iracheno –ufficialmente Regione del Kurdistan–, un’entità federale autonoma situata nell’Iraq settentrionale, inserendolo all’interno della Costituzione del Paese nel 2005.

Tuttavia non sono mai cessate le tensioni con Baghdad, specialmente in merito alla gestione delle risorse petrolifere che abbondano nei territori curdi,

Lo scenario attuale

Oggi il Kurdistan è a tutti gli effetti una nazione non riconosciuta e divisa fra diversi Stati: in Iraq sono due i partiti che rappresentano la minoranza curda, il Partito democratico del Kurdistan (PDK) e l’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK). Il primo si è dotato di un proprio esercito, chiamato Peshmerga, la cui traduzione è “coloro che affrontano la morte”.

La situazione è però ancora lontana dalla stabilità: dopo che la minaccia ISIS in Iraq sembrava essere stata sconfitta, nel 2017 il 90% dei cittadini ha votato sì a un referendum per l’indipendenza del Kurdistan, ma i negoziati con i governi centrali non sono mai stati avviati.

Attualmente l’ISIS controlla una vasta parte di territorio nel confine tra Iraq e Siria, e i Peshmerga, finanziati e supportati dagli Stati Uniti, stanno tentando di riconquistare città che prima erano sotto il controllo curdo. Nonostante abbiano dimostrato di essere dei combattenti efficaci, pare che abbiano poche chance contro l’esercito dello Stato Islamico, ben finanziato e in continua crescita.

Il 6 ottobre 2019, Donald Trump ha annunciato il ritiro delle truppe americane da alcune zone siriane, gesto che non è passato inosservato agli occhi del Presidente turco Erdoğan, il quale ha colto l’occasione per lanciare la sua controffensiva: cacciare i kurdi dai territori siriani ora liberi dalle milizie estere, per potervi trasferire parte dei profughi siriani presenti in Turchia. A tale scopo, in poche settimane sono stati uccisi 60 civili e più di cento soldati kurdi. Il paradosso è stato il nome assegnato all’operazione: “Sorgente di pace”, nonostante il risultato sia stato un alto numero di vittime e sfollati interni. L’Occidente non ha appoggiato i piani del Presidente, ma al tempo stesso non ha intrapreso delle misure atte a fermarlo –come, ad esempio, bloccare l’esportazione di armi alla Turchia–.

Ad oggi nessun partito può inserire la “questione curda” nel proprio programma senza essere preso di mira dai militari: data la storia della regione e le poste in gioco geopolitiche, gli interessi petroliferi e la posizione geografica del Kurdistan che lo rende un importante crocevia del Medio Oriente, sembra impossibile pensare alla creazione di uno Stato curdo indipendente.

Alessandra Soldi


Fonti

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