I triangoli Bir Tawil e Hala’ib
Quando la frontiera produce l’ambìto e l’indesiderato
In un momento in cui parlare del Sudan significa parlare di guerra, vogliamo provare a spostare lo sguardo e raccontarvi qualcosa su un paese che spesso sembra diventare interessante solo quando c’è qualcosa di drammatico da comunicare.
Certo, è importante parlare e informarsi su ciò che accade, ma a volte risulta difficile comprendere la complessità di un conflitto senza sapere nulla in più di quattro righe di riassunto sugli attori in gioco. Per cui ecco una storia curiosa che racconta qualcosa sul Sudan, sull’Egitto e sul passato coloniale di questa regione.
Le origini della contesa – o quando le frontiere non erano poi così immutabili
Bir Tawil in arabo significa “pozzo alto” o “lungo”. La storia di questo triangolo di terra – che per altro ha una forma più trapezoidale che triangolare – inizia con gli inglesi nel 1899.
Era l’epoca dell’imperialismo, periodo storico in cui la quasi totalità dei territori della regione MENA è soggetta a un controllo più o meno diretto da parte delle potenze europee. In particolare, il Regno Unito esercitava nei fatti un controllo sull’Egitto, anche se questo paese aveva formalmente un’amministrazione indipendente. Ben presto, il Regno Unito si trovò a gestire anche il territorio dell’attuale Sudan, stato che confina a sud con l’Egitto e che su un piano formale ne aveva sempre fatto parte.
Nel 1899, trovandosi davanti alla necessità di definire la modalità di gestione di questo vasto territorio, il Regno Unito optò per una forma di co-gestione: l’Egitto avrebbe mantenuto la sua amministrazione mentre il territorio che corrisponde al moderno Sudan sarebbe stato gestito contemporaneamente da Egitto e Regno Unito. Una volta optato per la cogestione, si trattava di definire in modo chiaro quali territori facessero parte dell’Egitto e quali del Sudan. In un periodo di generale ridefinizione degli equilibri regionali, spesso le potenze imperialiste si trovarono a tracciare linee sulle mappe per chiarire i limiti dei territori sotto il loro controllo più o meno diretto e quelli che invece mantenevano una qualche forma di autonomia. In questo caso, gli inglesi tirarono una linea retta lungo il 22° parallelo, a nord della quale avrebbe governato l’Egitto, mentre a sud un inviato egiziano, scelto con il consenso inglese.
Ovviamente, era molto comune che queste linee non tenessero in considerazione la realtà dei territori su cui andavano a porre una frontiera. Anche se oggi le frontiere sembrano essere diventate qualcosa di impenetrabile e immutabile, al tempo organizzare a tavolino la ridefinizione di confini e territori non sembrava poi così complesso. Infatti, tre anni dopo, nel 1902 gli inglesi decisero di spostare questa linea artificiale che divideva l’Egitto dal Sudan per gestire meglio le varie comunità che vivevano nell’area, che nel frattempo si erano ritrovate improvvisamente divise con criteri che non corrispondevano alle realtà locali pre-esistenti. Secondo questo nuovo schema, il Sudan avrebbe gestito una grande area costiera a nord del parallelo di circa 20 mila chilometri quadrati, nota come il triangolo di Hala’ib, mentre l’Egitto avrebbe gestito un territorio più piccolo a sud dello stesso parallelo: il triangolo di Bir Tawil per l’appunto. Questo particolare riadattamento territoriale non presentò particolari problemi durante la permanenza britannica su entrambi questi territori. Tuttavia, quando nel 1956 Egitto e Sudan si resero indipendenti – nella forma e nella pratica – la questione della sovranità territoriale di questi due fazzoletti di terra si complicò.
Infatti, data la sua natura costiera e la sua grandezza, il triangolo di Hala’ib divenne al centro delle rivendicazioni dei due paesi confinanti. Al contrario, il triangolo di Bir Tawil si trovò al centro di una complementare eppure opposta contesa: avere il desertico e poco redditizio Bir Tawil nel proprio territorio, avrebbe significato dover rinunciare al triangolo di Halai’b. Per questa ragione Egitto e Sudan iniziarono a rimbalzarsi mutualmente la sovranità su questa porzione di terra grande un decimo di Hala’ib, che divenne così l’unica parte del pianeta – ad eccezione di una zona dell’Antartide – non rivendicata da alcuno Stato.
Tra i due litiganti, il terzo gode?
Ma la storia del triangolo di Bir Tawil non finisce qui. Internazionalmente, il triangolo venne riconosciuto come terra nullius, ovvero territorio di nessuno. Questo significa che per poterne rivendicare la proprietà era ed è ancora necessario un riconoscimento da parte delle Nazioni Unite. Ad oggi, questo riconoscimento non è mai stato concesso, ma questo non significa che nessuno ci abbia provato.
Una delle rivendicazioni più famose è quella di un cittadino statunitense originario della Virginia e chiamato Jeremiah Heaton. Nel 2014 si recò sul territorio di Bir Tawil con il permesso dell’Egitto e si autoproclamò sovrano del Regno del Nord Sudan (questo fu il nome che scelse per il nuovo regno), piantando in mezzo al deserto di Bir Tawil una bandiera disegnata dai figli. Oltre al desiderio di avverare il sogno della figlia di diventare una principessa, il progetto di Heaton era quello di creare un’esperienza di agricoltura sostenibile e una centrale fotovoltaica per vendere energia all’Egitto.
Nel 2017 invece fu il turno di Suyash Dixit, di origine indiana, che si proclamò re di Bir Tawil e piantò la sua propria bandiera, invitando chiunque lo desiderasse a chiedere la cittadinanza nel suo nuovo paese.
Inutile dire che, nonostante gli sforzi, nessuno di questi progetti ha avuto i risultati sperati. Secondo il diritto internazionale, uno Stato sovrano per esistere deve avere un proprio ordinamento, organi politici, confini ben delimitati, istituzioni e cittadini che fanno parte di quel Paese. Il riconoscimento internazionale è un altro elemento chiave, e come tanti altri casi ben più drammatici hanno dimostrato, non è sufficiente piantare una bandiera o rivendicare la sovranità di un territorio per poter dire di aver fondato uno stato. Né Heaton, né Dixit né tanti altri sono riusciti a concretizzare tutte queste premesse. Fino ad oggi quanto meno.
E oggi?
Se Bir Tawil rimane quindi una questione aperta, anche la sovranità sul territorio di Hala’ib non risulta definita. All’inizio degli anni Novanta, infatti, il governo sudanese cercò di vendere i diritti per sfruttare i giacimenti di gas a largo della costa a una compagnia canadese. Si tentò di portare avanti delle trattative a seguito dell’opposizione del governo del Cairo, ma in attesa che venisse stabilita la sovranità sulla regione, la compagnia canadese si ritirò dall’affare.
Nei primi anni 2000, continui giochi di forza e riequilibri portarono il Sudan a ritirare le sue truppe dall’area, cedendo nei fatti il controllo all’Egitto che occupò militarmente il Hala’ib. Ma questa decisione non significò una rinuncia sudanese: quasi annualmente viene richiesto un arbitrato internazionale per determinare la sovranità sulla regione, che tuttavia viene puntualmente rifiutato dall’Egitto.
Nei fatti, oggi Hala’ib è gestita da una co-amministrazione di entrambi i Paesi. Sono riconosciute la lira egiziana e la sterlina sudanese e molti altri servizi, come quello telefonico, sono coperti sia da enti egiziani sia da enti sudanesi. Niente sembra essere cambiato: da un lato una decisione in merito al triangolo Hala’ib sembra ancora lontana, e dall’altro Egitto e Sudan non hanno alcuna intenzione di avanzare pretese su Bir Tawil.
Tra re autoproclamati, bandiere colorate, nomi ingegnosi e una paradossale patata bollente tra due stati limitrofi, questa storia potrebbe sembrare quasi divertente. Tuttavia, l’ironia di un territorio che nessuno vuole nasconde la drammaticità di un territorio ancora conteso e la consapevolezza che, ancora una volta, una linea tracciata con noncuranza su una mappa da una mano coloniale non sarà mai una sola e semplice linea.
Elena Sacchi