Lo straniero di Albert Camus: un dramma umano e universale

Il libro

Quando si legge “Lo straniero” bisogna lasciarsi alle spalle tutto: a partire dalla concezione di cosa sia una storia, fino alla propria idea di quale sia una vita degna di essere vissuta, passando per ciò che si considera umano o disumano. “Lo straniero” è un viaggio sensoriale attraverso un’esistenza irrilevante in una maniera sconvolgente.

Meursault, il protagonista, vive alle porte di Algeri negli anni ’40 e conduce una vita lineare e prevedibile, se non fosse per un elemento: sin dalla prima pagina, il lettore rimane scioccato dalla totale mancanza di coscienza di Meursault. Il protagonista non sembra curarsi del suo ruolo nel mondo, né di porsi domande sulla propria esistenza, né di interrogare se stesso su ciò che vive.

Pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, Meursault stordisce il lettore con una serie di atteggiamenti deprecabili. Si dimostra indifferente, forse addirittura infastidito, dalla morte della madre – «oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so». Intraprende una relazione amorosa con un trasporto quasi nullo. Si rende complice di situazioni tanto condannabili per il lettore quanto insignificanti per lui. È la mancanza di sbilanciamento di Meursault che incatena il lettore a una costante sensazione di scomodità, di angoscia, di disturbo nei confronti del protagonista.

Meursault cammina sulla sottilissima corda dell’indifferenza sopra il vasto precipizio della vita, unico in grado, fra tutti gli esseri umani, a non scivolare nemmeno una volta.

Fonte immagine: Culturificio

Finché, un giorno, non commette un omicidio. Più che uccidere un uomo si potrebbe dire che il suo intero essere scivoli accidentalmente su quell’azione, perché Meursault vive rispondendo a uno stimolo sensoriale dopo l’altro, senza veramente rendersi protagonista di ciò che fa:

«Tutta la mia persona si è tesa e ho contratto la mano sulla rivoltella. Il grilletto ha ceduto, ho toccato il ventre liscio dell’impugnatura e è là, in quel rumore secco e insieme assordante, che tutto è cominciato. Mi sono scrollato via il sudore ed il sole. Ho capito che avevo distrutto l’equilibrio del giorno, lo straordinario silenzio di una spiaggia dove ero stato felice.»

Meursault è costantemente stordito dal torrido caldo algerino, un caldo che traspira anche durante la lettura, facendo evaporare le parole dalla pagina al cuore del lettore. L’afa e i secchi paesaggi nordafricani fanno da cornice alle vicende di Meursault, un burattino che mette in scena un’esistenza in cui la coscienza di sé e del proprio ruolo nel mondo mancano completamente. Per citare Vittorio Giacopini, «“Lo straniero” non va letto come un romanzo a trama, ma visto come una riflessione sull’incontro tra un individuo e il mondo».

Meursault incarna l’individuo che sceglie di non sbilanciarsi, di non rispondere delle proprie azioni, di non avere una concezione di sé e soprattutto di sé in relazione con il mondo intero. Se si dovesse tracciare un grafico della sua vita, sarebbe una linea dritta e sottile, come la corda su cui si mantiene in equilibrio fino al giorno in cui cade.

Meursault indispettisce il lettore e gli altri personaggi della sua vita, perché non risponde a nessuna delle norme – implicite, come dispiacersi per la morte della propria madre, o esplicite, come non uccidere – normalmente presenti in società. La sua udienza non è il processo a Meursault l’assassino, ma al suo essere così fuori da qualsiasi schema sociale da provocare il disgusto. Al suo essere così straniero alla vita.

La scrittura di Camus ben accompagna lo svolgimento della storia. All’inizio prevalgono frasi brevi e asciutte, secche come il clima maghrebino e lineari come il pensiero di Meursault; mentre verso la fine, quando il protagonista è messo duramente di fronte alle conseguenze di ciò che ha fatto, i periodi si allungano e si dilatano come durante un caldo pomeriggio nel deserto. E l’angoscia per il processo del tribunale, così come per il processo della vita, non può che lievitare.

Meursault potrebbe essere il cittadino novecentesco che sta perdendo i proprio punti di riferimento. Se la religione viene a mancare, se la guerra devasta, se ogni pilastro classico sparisce nella modernità, a cosa aggrapparsi? Meursault si dimentica di dio e molti lo disprezzano per questo. Altri, forse, segretamente, lo invidiano.

L’autore e i pieds-noirs

Albert Camus (Algeria 1913 – Francia 1960) al suo primo romanzo snocciola abilmente alcuni fra i temi più dibattuti del suo tempo e che lui avrà più a cuore durante la sua carriera, coronata anche da un premio Nobel per la letteratura nel 1957.

Fonte immagine: La bottega di Hamlin

Camus, proprio come il suo Meursault, apparteneva alla comunità dei pieds-noirs. I “piedi neri” erano i discendenti dei coloni europei che si erano stanziati in Nord Africa. Rimanevano a tutti gli effetti cittadini francesi ma vivevano, in alcuni casi per diverse generazioni, in Algeria e negli altri territori colonizzati. Si dice che il loro nome venisse dal colore che i loro piedi acquisivano a furia di lavorare a bordo dei battelli, dove il carbone era largamente impiegato e lasciava il classico colore scuro sulla pelle.

Quando, nel 1962, la guerra franco-algerina per l’indipendenza terminò e l’Algeria poté decretarsi libera, il Fronte Nazionale di Liberazione – che aveva combattuto contro il colono francese – fece una precisa richiesta ai pieds-noirs: sarebbero potuti restare in Africa, acquisendo la cittadinanza algerina; oppure andarsene.

Ma dove andare, se molti di loro, in Africa da generazioni, non avevano mai messo piede in Francia?

Iniziò un esodo tragico, durante il quale quasi un milione di pieds-noirs fece le valigie in fretta e furia per andare in Europa. Molti distrussero tutte le proprie proprietà in Algeria, così da non lasciare niente a chi li stava cacciando da casa loro. Il motto di quel periodo era «la valise ou le cercueil», «la valigia o la bara».

Se la cacciata dall’Africa non era stata delle migliori, nemmeno l’accoglienza in Europa fu delle più calorose. Sovente i francesi consideravano i pieds-noirs un vero e proprio fardello per la Francia, lanciata a tutta velocità verso lo sviluppo, oltre che un manipolo di colonizzatori e sfruttatori.

Albert Camus, interrogato sulla vicenda, rispose con una delle sue citazioni più celebri: «Amo mia madre e la giustizia, ma fra mia madre e la giustizia scelgo mia madre». Figlio di una famiglia lavoratrice e di umili condizioni, Camus si opponeva all’idea che fosse “giusto” cacciare chi, come sua madre, aveva sempre vissuto e lavorato in Africa. Camus si opponeva all’idea generica di una Francia nemica e ostile, che, secondo il Fronte Nazionale di Liberazione algerino – il movimento che lottò per l’indipendenza – vedeva la sua realizzazione più prossima proprio nella comunità dei pieds-noirs. D’altro canto, si oppose alla possibilità della pena di morte per quegli stessi combattenti del Fronte che, fra sua madre e la giustizia, gli chiesero di scegliere la loro giustizia.

Albert Camus, straniero nel proprio paese, poi straniero in terra altrui, è stato capace di condensare il dramma di un essere umano e di un intero secolo in un libro.

Avana Amadei

Fonti

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