“The Present”: uno sguardo sulla quotidianità palestinese

The Present è un cortometraggio di 24 minuti disponibile sulla piattaforma Netflix che ci racconta le conseguenze drammatiche del conflitto arabo israeliano sulla quotidianità di una famiglia palestinese. Quest’ultima rappresenta infatti un microcosmo che riflette una realtà più vasta che accomuna la maggior parte dei palestinesi residenti in Cisgiordania. Il cortometraggio della regista britannico-palestinese Farah Nabulsi è stato candidato agli oscar per la categoria “miglior cortometraggi live action” e si è aggiudicato inoltre il premio BAFTA. Farah oltre ad essere un’attivista per la causa palestinese è scrittrice, produttrice e regista di numerosi film di finzione ispirati a temi socialmente rilevanti. Riportiamo le sue parole perché esprimono al meglio la sua volontà di utilizzare l’arte del cinema per fare la differenza:

Le arti giocano un ruolo cruciale nel cambiare il mondo e credo che il cinema le preceda tutte. Dà voce a chi è messo a tacere, aiutando così a costruire l’empatia e la comprensione necessarie per effettuare il cambiamento”

Il cortometraggio è in grado di rappresentare in soli 24 minuti la privazione della libertà fondamentale di movimento alla quale è condannato il popolo palestinese, e i numerosi impedimenti all’ordinario svolgimento della loro quotidianità. La forza di questo cortometraggio risiede infatti nell’aver messo in scena l’ordinario.

Fonte: https://www.lifegate.it/

Le riprese si sono svolte a Betlemme nel “checkpoint 300”, un punto di controllo imposto dagli israeliani, attraverso il quale passano quotidianamente centinaia di palestinesi per raggiungere il loro posto di lavoro. I protagonisti della storia narrata sono una famiglia palestinese composta da madre, padre e la piccola Yasmina. Vivono in una casa che dista pochi minuti a piedi dalla frontiera con lo stato d’Israele nella città di Betania, ma la distanza non conta dato che attraversare il confine si configura sempre come un ostacolo. Ostacolo è la parola perfetta per descrivere questa storia, dato che l’occupazione israeliana ne inserisce molti nello svolgimento di questa vicenda.
I protagonisti della storia narrata sono una famiglia palestinese composta da madre, padre e la piccola Yasmina. Yosef, il padre della famiglia, durante il suo unico giorno libero dal lavoro decide di oltrepassare la frontiera con la piccola Yasmina per andare a comprare un frigo da donare alla moglie, come regalo di anniversario di matrimonio.

Tuttavia, questa semplice commissione si trasforma in un evento che sfiora la tragedia. I due Incontreranno impedimenti sia all’andata nel check point israeliano, sia per ritornare a casa con il regalo, a causa dei controlli, più che arbitrari e spesso violenti, alla quale sono sottoposti quotidianamente i cittadini palestinesi. Sono presenti numerose scene che segnalano un forte tendenza razzista perpetuata dalla forza di occupazione israeliana nei confronti dei protagonisti, che per il solo fatto di essere arabi vengono derisi e offesi ripetutamente.


Emblematica la scena in cui il soldato estrae dal sacchetto nero i pantaloni sporchi della bambina affermando : “cos’è questo schifo, siete tutti disgustosi”. Risulta difficile rimanere impassibili davanti a queste parole denigratorie, infatti la soglia di sopportazione di Josef raggiunge il limite ed esplode, quasi dimenticandosi di non avere il coltello dalla parte del manico, ma anzi i fucili puntati contro.

Nonostante questa chiara intenzione di denuncia di tali atteggiamenti razzisti, la regista ha anche voluto trasmettere un sottile messaggio di speranza nel momento in cui il soldato israeliano esorta il suo collega a lasciarli passare. Quasi a ricordarci che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, che la situazione è complicata, che le persone non scelgono da che parte nascere e che dall’altra parte non tutti la pensano allo stesso modo. L’interpretazione eccellente dell’attore che interpreta Yosef ci permette di cogliere, attraverso la tensione sprigionata dal suo corpo, la rabbia e l’amarezza provocati dall’umiliazione costretto a subire davanti agli occhi della figlia, a sua volta intrisi di tristezza e commozione nel vedere il padre dietro alle sbarre, impotente.

Yasmina è il simbolo delle nuove generazioni che nonostante siano inorridite e amareggiate dalla situazione di privazione delle libertà fondamentali alla quale sono condannate, si rimboccano le mani : prendono il frigo e oltrepassano il cancello.

Giorgia Facchini

Fonti

Articoli simili