Clash – Mohamed Diab: l’Egitto in una camionetta della polizia

Il cinema egiziano soffre da molti anni, almeno trenta, di una condizione di povertà creativa e ripiegamento su sé stesso; portando avanti produzioni mediocri che spesso sprofondano sotto il loro stesso peso, l’industria cinematografica egiziana è probabilmente oggi la brutta copia di sé stessa. È in questo contesto che il regista Mohamed Diab scrive e gira un film che probabilmente rappresenta il picco più alto della Hollywood sul Nilo da molti anni a questa parte.

Fonte immagine: africapt-festival.fr

La storia segue una giornata di proteste nella capitale egiziana; è il 2013, Morsi è appena stato destituito dall’esercito e i Fratelli Musulmani protestano contro questo colpo di mano. La situazione porta alla luce tutte le fratture che caratterizzano l’Egitto: la popolazione infatti scende in piazza in favore dei fratelli musulmani o in favore dell’esercito; anche all’interno dei gruppi stessi emergono però rapporti spesso conflittuali. La storia, come anticipato, segue una giornata di protesta vista dall’interno di una camionetta della polizia, vista dai prigionieri che durante la giornata vengono progressivamente arrestati dalla polizia. È così che un giornalista e un fotografo di Associated Press, dei manifestanti pro esercito arrestati per sbaglio e dei Fratelli Musulmani (a cui vanno aggiunti i simpatizzanti non iscritti al movimento) si trovano a compiere un viaggio verso il carcere.

La pellicola mette in mostra i contrasti e i rapporti di forza tra i gruppi sociali che vivono nel Paese e la camionetta della polizia diventa l’arena in cui si scontrano le varie appartenenze egiziane; come una sorta di microcosmo che rappresenta l’intero Egitto, essa diventa un luogo di prigionia e di convivenza forzata ma anche una salvezza dalla crudeltà del mondo esterno: una difesa dagli scontri tra manifestanti e poliziotti, una difesa dalle sassaiole dei Fratelli Musulmani e dagli spari dell’esercito. Tra vessazioni e contrasti il viaggio prosegue intervallato dagli scontri filtrati dalle piccole finestre del mezzo militare.

Fonte immagine: critikat.com

Il film rappresenta in maniera puntuale e perfetta l’essenza della guerriglia urbana vista attraverso i finestrini sbarrati di una camionetta di polizia; in pochi metri quadrati esprime magistralmente l’odio, la gelosia, la paura e l’attrazione di chi è costretto a esserne ospite. Il senso claustrofobico e afoso dato dal luogo in cui si svolge il lungometraggio, in netto contrasto con l’ampiezza e la varietà delle emozioni dei personaggi, le cui interazioni sono il motore di un film superbo, riflettono una sceneggiatura che vive di appartenenza ed esclusione: l’essere o meno un poliziotto, l’essere un Fratello Musulmano o solamente un simpatizzante, l’essere un manifestante pro esercito, ma ancora l’essere prigioniero di una camionetta e il doversi difendere dal mondo esterno, sono la chiave di questo dramma scritto alla perfezione. Un dramma in cui l’appartenenza determina la sopravvivenza o può causarne la morte.

L’appartenenza e l’identità in questo film di 90 minuti è tutto e non consente vie di fuga: l’essere da una parte o dall’altra della barricata, l’adesione a un gruppo in contrapposizione a un altro, la continua ricerca di un nemico e lo slittamento perenne della sua identificazione, sono il tessuto su cui poggia il testo cinematografico. Chi è il nemico? Questa è la domanda che implicitamente viene posta in continuazione attraverso continui cambi di opinioni e di alleanze.

Clash (اشتباك) è un film potente e magistralmente costruito nel suo sottotesto, nel rappresentare una società attraverso una sineddoche perenne. Mohamed Diab, voce delle proteste del 2011 è a oggi il miglior regista contemporaneo egiziano, un regista in grado di parlare della società e alla società egiziana.

Luigi Toninelli

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