No bears: gli orsi non esistono. Il confine autobiografico di Jafar Panahi

Era settembre 2022 e Jafar Panahi lasciava l’ennesima sedia vuota ad un Festival di cinema. A Venezia le proteste per il suo arresto sfilavano al Lido sorrette in cartelloni super size dagli attori presenti: «Release Jafar Panahi!» dicevano. Questa storia, purtroppo, non ci è nuova, tanto che sembra essere diventata parte di una biografia, quella del regista, ormai destinata a lasciare posti inoccupati e silenzi proclamati dall’irrefrenabile censura. Eppure come in ogni suo film il linguaggio della macchina da presa si fa penna capace di riempire ogni vuoto che si trasforma in metacinema e continua ad alimentare critiche e ottenere vittorie.

No Bears (Gli orsi non esistono) è stato girato in clandestinità come tante delle opere firmate Panahi dove percorrere e fuggire, tornare e nascondersi, sono costanti di una espressione allo stesso tempo pericolosa e personale ma sempre significativa. La troupe per la realizzazione di questa pellicola è stata composta da direttori artistici e attori che non stanno più lavorando o vivendo in Iran, come l’attrice che interpreta Zara, Mina Khosrovani, che al momento risiede in Francia.

Fin dai primi minuti il lungometraggio proietta un grande tema, ovvero il falso: subito ci si accorge che la storia sembra girata all’estero e non in Iran, come d’altronde scopriremo lo stesso Jafar Panahi, interpretando se stesso, non vuole lasciare impronte sul territorio iraniano. Nella seconda sequenza vediamo che anche i documenti sono falsi: un uomo e una donna stanno cercando di ottenere i passaporti contraffatti per espatriare. A questa linea narrativa si aggiunge la storia dello stesso regista che si trova in un luogo rurale al confine con la Turchia per girare da remoto un film in cui si svilupperà una vicenda fondamentale per la sinossi, quella di una fotografia scattata presumibilmente da Panahi, che porterà la scrittura al culmine della drammaticità.

Nella piccola comunità azari iraniana Panahi riesce difficilmente a mettersi in contatto con i suoi collaboratori che, sul set del film, stanno girando seguendo le istruzioni del regista in videochiamata. Panahi s’ingegna per trovare il segnale della rete e far funzionare i dispositivi necessari per dirigerlo a distanza. La mancanza di comunicazione con gli attori, fortemente e simbolicamente correlata alla perdita del segnale internet, sembra sottolineare un’altra sorta di comunicazione fallita che è quella tra Panahi e gli abitanti del villaggio che diffidano delle intenzioni dell’estraneo venuto da Teheran.

Punto saliente e ricorrente nella filmografia del regista è l’elemento metacinematografico, appreso dal maestro Kiarostami che Panahi cita costantemente, e che qua lo fa esplorando la confusione tra realtà e finzione dividendo le linee narrative in modo efficacie e ben riuscito. nStavolta Panahi non solo usa il mezzo cinema per raccontare diverse storie a più livelli ma anche per giocare sulla complessità del linguaggio della settima arte quasi ridicolizzando lo stesso. Un esempio si trova in una delle prime sequenze in cui il regista incarica l’uomo che ha il dovere di tenerlo sotto controllo di andare a filmare con la sua macchina da presa una celebrazione tipica del luogo. Panahi si ritroverà un video in parte oscurato e dal risultato disastroso.

Sicuramente questi spaccati di cinema nel cinema sono in No Bears meno celebrativi rispetto a quelli di Taxi Teheran e i Tre volti ma la presenza di Panahi rende comunque l’opera in linea con le precedenti. A cambiare qua è sostanzialmente la paura del regista di varcare il confine, tant’è che in una scena chiede: «dov’è il confine?» e appena si rende conto che lo sta calpestando si ritrae con il timore che non sembrava persuaderlo nelle opere precedenti.nI temi, come le narrazioni, si ripetono, ma lo fanno con maggior chiarezza: Panahi riesce a tornare alle sue origini e allo stesso tempo mostrare i punti deboli delle stesse attraverso la messa a fuoco di usanze ed eventi che vogliono elogiare e criticare all’unisono tradizione e ideologia.nnConsiglio una visione in lingua originale poiché il doppiaggio è mediocre: vi sono parole tradotte all’italiano che possono confondere lo spettatore e la recitazione dei doppiatori sembra mancare di esperienza tanto da rendere la versione doppiata molto meno piacevole di quella in farsi con i sottotitoli.

Erika Nizzoli

Fonti

  • Gli orsi non esistono, Parliamo dell’ultimo film di Jafar Panahi con Claudio Zito, www.youtube.com.
  • La silla vacía de la vergüenza: Jafar Panahi resiste con “No Bears”, www.larazon.es.
  • El director estrella del festival de Venecia compite desde la cárcel, www.elpais.es.

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