L’arte della contestazione di Nawal al-Saadawi

Scrittrice, attivista, donna, egiziana, araba, sovversiva, eretica. Tanti i tentativi di trovare con una manciata di aggettivi la definizione perfetta per Nawal al-Saadawi. Eppure nessuno di questi sembra calzare a pennello, cogliere tutte le sfumature di una figura così poliedrica come la sua.

In un’intervista[1] rilasciata nel corso di sei mesi tra il 2007 e il 2008, l’intellettuale egiziana si definisce, tra le altre cose, “African from Egypt”, sottolineando la sua distanza dall’idea di un Egitto facente parte del “Middle East”, termine ritenuto da lei funzionale alle necessità di categorizzazione occidentali. Questo è solo un esempio di come al-Saadawi presenti la sua persona attraverso le sue battaglie, le sue prese di posizione, il suo essere intrinsecamente intellettuale eppure allo stesso tempo intrinsecamente politica. E con la politica Nawal ha avuto non pochi problemi, frutti di una società che vedeva nelle sue opere e nella sua figura una contestazione pericolosa per il potere costituito. Alcune delle sue opere, tra cui la pièce teatrale “God Resigns at the Summit Meeting” sono state oggetto non solo di numerosi rifiuti da parte degli editori, a causa di contenuti che si giudicavano come troppo eversivi, ma in alcuni casi addirittura oggetto di censura.

Fonte immagine: l’économistemaghrébin

La parabola della vita di Nawal al-Saadawi (in arabo نوال السعداوي), che si è conclusa lo scorso 21 marzo, è stata caratterizzata da una precoce consapevolezza della propria natura di intellettuale.

Un villaggio a Nord del Cairo, Kafr Tahla, la vedrà nascere nel 1931, la seconda di nove figli. Ancora adolescente si trasferirà al Cairo per proseguire gli studi, e durante il periodo del liceo comincerà a mettere in pratica quella consapevolezza che si era manifestata già nel periodo dell’infanzia, scrivendo le sue prime sceneggiature teatrali, di cui spesso sarà anche interprete. Ma la sua passione per la scrittura non le impedirà di proseguire la sua formazione in una direzione apparentemente distante, con i suoi studi di medicina prima e la sua specializzazione in psichiatria poi. Nella sua attività professionale cercherà di applicare alle tecniche di terapia tradizionali anche tutti quegli elementi di lotta per l’emancipazione e per l’affermazione dei diritti delle donne che aveva maturato negli anni precedenti, caratterizzati da un forte attivismo politico.

La scrittura non venne mai meno nella sua vita nonostante l’impegno dedicato alle diverse professioni ricoperte in ambito sanitario. All’interno dei suoi saggi, racconti e romanzi, assumono un inedito protagonismo molti argomenti considerati tabù dalla società egiziana o dalla sfera religiosa. L’aborto, la condizione femminile, le mutilazioni genitali, le diseguaglianze sociali e i traumi psicologici che molte donne continuano a subire sono solo alcuni dei temi sui quali al-Saadawi cerca di operare una normalizzazione, con l’obiettivo che il poterne parlare apertamente produca un reale cambiamento.

La vita di Nawal al-Saadawi sarà colorata anche dai toni dell’esilio. Dopo numerose accuse da parte di autorità statali e religiose per la sua messa in discussione dei valori tradizionali, nel 1981 subirà la sua prima accusa per crimini contro lo stato, in seguito alla quale sarà messa in carcere. La morte di Sadat nel 1981 sarà fondamentale per la sua scarcerazione, che avvenne appena due mesi dopo l’inizio della sua pena. Al-Saadawi sarà costretta a sopportare un’ulteriore esperienza di prigionia legata alla sua decisione di creare un’organizzazione legale indipendente femminista, The Arab Women’s Solidarity Association, fino a che nel 1992 inizierà il suo esilio. Il periodo lontano dall’Egitto la porterà, dopo del tempo passato in Olanda, a stabilirsi negli Stati Uniti d’America.

Sempre all’interno dell’intervista rilasciata nel 2007/2008, Nawal racconta come il suo spirito di intellettuale-attivista sia stato in qualche modo ereditato da sua figlia, Mona Helmy. Quest’ultima infatti, tra le sue diverse battaglie, si sarebbe anche schierata più volte a favore del diritto per le donne egiziane di registrare i figli con il proprio cognome (diritto fondamentale soprattutto per quei bambini nati al di fuori dell’istituzione matrimoniale), e queste affermazioni, supportate da Nawal, sono costate a entrambe una denuncia per apostasia nel 2007.

Nel 2006, dopo numerosi rifiuti da parte di diversi editori egiziani, al-Saadawi riesce a far pubblicare la sceneggiatura del suo spettacolo “God Resigns at the Summit Meeting”. La sceneggiatura racconta di un incontro tra i protagonisti delle tre religioni del Libro (Islam, Cristianesimo, Ebraismo) e Dio. La situazione che viene rappresentata è quella dei profeti di Dio che si recano presso di lui per chiedergli di intervenire in un mondo che sembra aver perso di vista la giusta strada da seguire: Mosé racconta come la sua gente abbia abbandonato Dio per cercare il benessere altrove, Gesù invece è alla presa con le domande dei nascenti femminismi che mettono sempre più in causa la legittimità del suo messaggio, Muhammad dal canto suo, deve fare i conti con la corruzione endemica dei governanti Arabi. Ma per Dio il problema maggiore sarà rappresentato da Satana, che si presenta assieme ai profeti chiedendo di poter rassegnare le sue dimissioni: sarà impossibile trovare qualcuno che voglia occupare il suo posto. La tagliente ironia di questo spettacolo teatrale, che tenta di mettere in discussione diverse problematicità delle tre religioni monoteistiche riportandole alla loro radice comune, è costata a Nawal al-Saadawi l’accusa di eresia, la censura di tale opera e la distruzione di molte delle copie che era riuscita a far pubblicare.

Fonte New Frame
Fonte indipendent (foto di Tom Pilston)
Fonte bbcnews (foto di David Degner)

A causa delle sue battaglie contro lo stato egiziano, delle sue opere spesso difficili da accettare per le forti critiche alla struttura stessa della società egiziana ed infine, a causa delle sue posizioni su molte tematiche religiose, al-Saadawi rimane oggi una figura criticata da molti, sia all’interno di ambienti tradizionalisti, sia all’interno di ambienti più progressisti. Uno dei rimproveri che le è stato portato più spesso è stato quello di scrivere per “l’Occidente”. A questo proposito lei stessa ha più volte sottolineato che:

“I do not write for the West. I write for people everywhere who believe in justice, freedom, love, equality, peace, and creativity. But I do write in Arabic; therefore I write mainly for people in our countries”.

Elena Sacchi

Note

[1] Nawal El Saadawi, and Adele S. Newson-Horst. “Conversations with Nawal El Saadawi.” World literature today 82.1 (2008): 55–58. Print.


Fonti

Consigli

  • Da leggere: trovate un omaggio a Nawal al-Saadawi in arabo in questo articolo di rafees22
  • Da vedere: intervista su Channel 4 dal titolo “Nawal El Saadawi on feminism, fiction and the illusion of democracy”, la trovate qui

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