Leila Khaled: il volto femminile della resistenza palestinese

Quando si parla di movimenti di liberazione nazionale nel dibattito pubblico non si evidenzia quasi mai l’importanza del ruolo delle donne. Solo recentemente la storiografia ha iniziato a mettere in luce il contributo delle donne partigiane nelle lotte indipendentiste e di liberazione dall’oppressore, soprattutto in Italia e Spagna. Tuttavia, per quanto riguarda il dibattito politico in merito alla resistenza palestinese, il ruolo delle donne viene particolarmente sottovalutato.

Con il fine di offrire una visione aderente alla realtà e valorizzare nel nostro piccolo il contributo femminile alla resistenza palestinese presentiamo la figura di Leila Khaled, icona della resistenza e dell’emancipazione femminile in Palestina.
Leila racchiude perfettamente la duplice oppressione che sono costrette a vivere le donne palestinesi: da una parte lottano per liberarsi dall’occupazione israeliana, dall’altra combattono contro il patriarcato e maschilismo che caratterizza la società palestinese, così come altre società.

Illustrare la biografia della vita di Leila Khaled ci permette di ripercorrere la storia del popolo palestinese sin dal periodo della Nakba. Le vicende che scandiscono la sua vita si intrecciano con alcuni eventi fondamentali della storia della Palestina.

Fonte: https://www.pinterest.it/alliesewbz/leila-khaled/

Nata a Haifa nel 1944 Leila Khaled fu costretta, a seguito della prima guerra arabo israeliana del 1948, ad abbandonare la sua terra per recarsi a Tiro, in Libano. La sua infanzia è caratterizzata dalla terribile esperienza dell’esilio dalla propria casa, accomunandola così all’infanzia di altri milioni di palestinesi costretti ancora oggi a vivere come rifugiati.

A seguito della Nakba, espressione con cui si indica l’esodo forzato di 700.000 palestinesi dai territori occupati da Israele durante la prima guerra arabo-israeliana, i palestinesi iniziarono la loro vita da popolo oppresso. Furono costretti a rifugiarsi in campi profughi allestiti nei paesi limitrofi: Siria, Libano e Giordania.
La sua vita divenne così totalmente dipendente dagli aiuti umanitari offerti dalla United Nation Relief for Palestine Refugees, la quale offriva approvvigionamento alimentare, assistenza sanitaria e servizi scolastici. Proprio in questo contesto precario in cui è costretta a trascorrere la sua infanzia si rende conto dell’ingiustizia alla quale è quotidianamente sottoposta e inizia a maturare un senso di ribellione nei confronti dello status quo.

Grazie all’accesso all’istruzione permesso dagli aiuti umanitari, negli anni 50 sorge la prima generazione di palestinesi ben istruiti. Al di fuori dei territori palestinesi si formò un gruppo di intellettuali che negli anni seguenti divenne la classe dirigente nazionalista. Leila a soli 15 anni comincia una vera e propria militanza all’interno del movimento nazionalista arabo fondato nel 1952 a Beirut da George Habbash. L’obiettivo di tale organizzazione era l’abbattimento del regime sionista, dell’imperialismo occidentale e del colonialismo.
La madre della giovanissima militante non era d’accordo rispetto alla sua partecipazione attiva nel movimento poiché oltre a temere della vita della figlia guardava il mondo attraverso la lente dell’ideologia egemone, ovvero quella patriarcale: una donna non poteva prender parte alla lotta.
La sua formazione si concluse all’università di Beirut e in questo contesto universitario entrò a far parte del primo contingente paramilitare degli studenti universitari del Movimento nazionale arabo, sottoponendosi a un ferreo addestramento.

Successivamente, nel clima del tramonto del socialismo nasseriano a seguito della guerra dei 6 giorni del 1967, il movimento nazionalista arabo, che aveva molti punti in comune con il nazionalismo nasseriano, abbracciò il marxismo sessantottino. In questo contesto di influenza marxista si venne a costituire una branca palestinese del movimento nazionale arabo: il “Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina” (FPLP), a cui Leila aderì e si arruolò in seguito. L’obiettivo di questo movimento era distruggere Israele mobilitando le masse popolari che si sarebbero configurate come protagoniste della rivoluzione armata. Consideravano la lotta palestinese parte della lotta contro l’imperialismo occidentale ed erano convinti inoltre di poter unire il mondo arabo contro i regimi oppressori.
Questa nuova prospettiva di resistenza caratterizzata dalla lotta armata portò i movimenti di liberazione palestinesi ad essere associati e accusati di terrorismo.

Leila Khaled prese parte nel 1969 ad un dirottamento aereo, strategia militare impiegata con l’obiettivo di rendere mediatica la questione palestinese. L’aereo del volo TW 840, in servizio tra Los Angeles e Tel Aviv, prevedeva due scali a Roma e Atene. Tuttavia, fu fatto atterrare ed esplodere a Damasco, senza mietere nessuna vittima tra i passeggeri. L’assenza di sangue ci suggerisce l’intenzione unicamente mediatica dei dirottamenti, nonostante ciò è importante ricordare che questi episodi sono definiti dal diritto internazionale come atti terroristici.

A seguito di questo episodio e grazie alla celebre foto che la ritrae con un AK-47 (fucile d’assalto) Leila divenne una celebrità:

Ormai tutto il mondo riconosceva il suo volto di combattente e dunque, per poter portar avanti altri dirottamenti in anonimato, dovette sottoporsi a ben 6 interventi chirurgici plastica al viso. Questo ci mostra più di ogni altra cosa quando credesse nella battaglia che fin da piccola stava portando avanti.

Nel 1971 il FPLP abbandonò la tattica dei dirottamenti aerei e oggi il pensiero politico di Leila si è modificato: ha abbandonato l’idea della lotta armata come strumento di resistenza.
Attualmente il suo attivismo si traduce in azioni meno eclatanti come conferenze di divulgazione e partecipazione come membro dell’Unione dei comitati delle donne palestinesi.

Attraverso il suo attivismo e militanza politica ha cercato di abbattere gli ostacoli che impediscono alle donne palestinesi di essere realmente libere. Leila partecipando attivamente alla resistenza palestinese ha rotto gli schemi culturali che purtroppo ancora oggi legano la donna alla dimensione della cura e all’ambiente domestico

Giorgia Facchini

Fonti

Articoli simili