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Le radici del diritto islamico

Avete mai sentito parlare di sharia (شريعة) ?

Immagino che la maggior parte di voi associ questo termine alla legge islamica. Non è del tutto scorretto, tuttavia è necessario discostarci dal significato attribuitegli dai media occidentali.

Quando più in generale si parla di diritto islamico è importante considerare che la Sharia, la quale significa “via” o “cammino”, è la legge direttamente rivelata da Dio che si trova nel Corano e nella Sunna. Non è un testo giuridico codificato, ma una serie di principi etici e morali espressi all’interno dei testi sacri. Inoltre, il concetto di Sharia, diversamente da come si potrebbe pensare, non implica una costrizione o obbligo, quanto piuttosto l’idea di una direzione. Viene considerato come un codice di comportamento etico e privo di un carattere coercitivo.

La Sharia, essendo un insieme di principi non codificati, non ricopre tutti gli ambiti della giurisprudenza; infatti, solo il 3% (circa) del Corano ha carattere normativo. Risulta dunque ovvio che quando un’autorità politica (come il caso dei talebani afghani) annuncia che verrà applicata la Sharia, questa affermazione non ha alcun significato, dato che si tratta di principi che regolano pochi ambiti della vita del fedele.
A questo punto la domanda sorge spontanea: se la Sharia non è un corpus normativo, chi ha elaborato tutte le norme giuridiche che caratterizzano il diritto islamico?

I principi etici e morali, estrapolati dai due testi sacri, sono stati utilizzati per dedurre ed elaborare quello che in arabo viene chiamato fiqh فقه, ovvero il diritto islamico. Quest’ultimo è caratterizzato dalla presenza di numerose branche che spaziano dal diritto commerciale, penale, matrimoniale, etc…
Nel corso dei secoli, gli studiosi esperti di legge e rappresentanti delle varie scuole di diritto islamico hanno elaborato un corpus di legge, che si configura come lo sforzo umano di comprendere la Legge di Dio e codificarla in norme.

Possiamo affermare che sia Sharia che fiqh sono branche del diritto islamico; la prima è espressione della volontà di Dio, mentre il secondo è la scienza formulata dai giuristi sulla base da quanto dedotto dalla rivelazione. Come afferma lo studioso Campanini, il fiqh rappresenta di fatto l’elaborazione attraverso strumenti umani della Sharia, è il tentativo dell’uomo di conoscere, approfondire ed elaborare la legge divina.

Quali sono le fonti del diritto islamico?

Il diritto islamico, oltre ad elaborare norme, si occupa anche di un aspetto metodologico importante, ovvero lo studio delle radici del diritto. Il fiqh, infatti, nel momento di elaborare norme giuridiche attinge dagli usul al fiqh (radici del diritto), che sono quattro: Il Corano, la Sunna, il consenso comunitario e il ragionamento per analogia.

Un interessante punto sottolineato da Campanini è che il Corano e la Sunna sono anche i fondamenti della Shari’a; dunque, in un certo senso il Fiqh assorbe la Shar’a e quest’ultima è fonte di ispirazione per l’elaborazione di norme giuridiche.
Di seguito andiamo a illustrarvi un quadro generale di ciascuna di queste radici del diritto islamico:

Corano

Il Corano, come tutti sappiamo, è il testo sacro dell’Islam. Fondamento, insieme alla Sunna, della Sharia. Il termine Corano deriva dall’arabo Al-qur’an che significa “recitazione”, inteso come lettura ad alta voce. Difatti, fin dall’inizio, il corano venne appreso oralmente dato che è la modalità attraverso la quale il profeta trasmise le rivelazioni ricevute da Dio ai propri compagni. Proprio per questo la tradizione orale nella cultura islamica è centrale. Per l’Islam il Corano è la diretta trascrizione della parola di Dio; infatti, anche la lingua araba viene considerata sacra poiché lingua della rivelazione divina.

Comunque, soprattutto ai fini della memorizzazione, le rivelazioni vennero trascritte su materiali occasionali. A causa delle molteplici versioni esistenti, il terzo califfo ben guidato IBN AFFAN decise di sceglierne una e di distruggere le altre. Attualmente Il Corano si presenta come suddiviso in 114 sure (capitoli), disposti in ordine decrescente di lunghezza e non cronologico. Ne risulta che le ultime, più brevi ma anche più importanti, sono le prime rivelate.

Sunna

Quando parliamo di Sunna ci riferiamo alla tradizione del profeta Mohammed che ci è stata tramandata fino ad adesso. Questo testo sacro è composto dagli hadith, ovvero i fatti, detti e silenzi di Maometto. Queste vennero raccolte nel corso del tempo da parte delle prime generazioni di credenti, i quali, prendendo come punto di riferimento il comportamento di Maometto, iniziarono a tramandare oralmente tutte quelle narrazioni che avevano come protagonista il profeta. All’inizio tutto questo materiale veniva raccolto e tramandato oralmente, poi nel corso del tempo venne istituita una scienza degli hadith con l’obiettivo di selezionare e trascrivere tutto questo materiale. Si arrivò dunque a una fissazione e istituzionalizzazione di questa tradizione.

La selezione dell’hadith e quindi la sua attribuzione di autenticità avvenivano attraverso l’analisi dell’ISNAD, ovvero della catena di trasmettitori che avevano tramandato l’hadith. Quest’ultimo è infatti composto di due parti; da una parte il testo vero e proprio chiamato MATN e dall’altro la catena di nomi che fino ad allora lo avevano trasmesso e che garantiva la sua attendibilità.
Tuttavia, anche all’interno degli hadith accertati come autentici, ne esistono alcuni in contrasto tra loro. Ciò, come afferma lo studioso Ventura, è esemplificativo della pluralità di visioni giuridiche che esiste all’interno del sunnismo, diretta conseguenza dell’assenza di un’autorità univoca che dall’alto imponga una visione unitaria. Ovviamente gli hadith non possono comunque essere in contrasto con il Corano.

L’esempio di Maometto, contenuto all’interno della Sunna, viene considerato come esegesi vivente del libro sacro e il suo necessario complemento normativo. Aderendo quindi a ciò che viene enunciato negli hadith di fatto il musulmano sta seguendo il volere di Dio, dato che nel Corano è scritto: “voi avete nel messaggero di Dio, un esempio buono per chiunque speri in Dio e nell’ultimo giorno”.

Consenso comunitario

Spesso tuttavia capita che né il Corano né la Sunna siano in grado di regolare alcuni aspetti della vita comunitaria e individuale. Partendo da questa necessità è stata creata un’altra fonte del diritto, ovvero il consenso unanime della comunità dei fedeli. Quest’ultimo, se presente, può portare all’elaborazione di una norma giuridica.
Nonostante la sua natura originale sia l’universalità del consenso, già a seguito della conclusione dell’esperienza di medina*, divenne impossibile da ottenere. Infatti, quando l’impero si espanse era impossibile trarre un consenso universale. Dunque, l’ijma (consenso comunitario) venne ridotto e utilizzato per riferirsi al solo consenso dei giuristi esperti, i quali, nel corso degli anni, assunsero sempre più potere.

Ragionamento analogico

Quando è complicato gestire una questione appellandosi alle fonti precedentemente elencate si ricorre alla quarta fonte del diritto islamico, ovvero il ragionamento analogico. Questa fonte, come anche il consenso comunitario, essendo totalmente all’interno del campo d’azione della facoltà umana, e quindi di possibili errori, è stata oggetto di restrizioni e obiezioni (Ventura).
In sostanza il ragionamento analogico consiste nell’applicare una norma già presente e in uso, che trova fondamento nei testi sacri, ad una situazione simile. Il qiyas (ragionamento analogico) di fatto permette di dare spazio al ragionamento umano indipendente, infatti da molti viene considerato, ai fini della legittimazione, come uno sforzo interpretativo di comprendere il reale volere di Dio.

Un esempio calzante, che troviamo all’interno dei libri citati in bibliografia, è la questione delle sostanze inebrianti. Nel corano si proibisce il vino perché provoca ubriachezza e quindi inebriamento della ragione.
Se si utilizza il ragionamento analogico bisogna anche estendere questo divieto a molte altre sostanze proprio in virtù della medesima conseguenza che provocano. Tuttavia, alcune scuole giuridiche rifiutano questo tentativo di interpretazione, poiché umano e non divino.

Giunti alla fine di questo percorso alla scoperta delle radici del diritto islamico ci teniamo a sottolineare l’importante contributo datoci dalle autorevoli fonti citate in bibliografia. In questa sede abbiamo cercato di presentarvi un quadro molto semplificato, adatto per coloro che si approcciano per la prima volta a questo universo religioso che è l’Islam.

Giorgia Facchini

Fonti

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