Gli yazidi: vittime di un genocidio violento e silenzioso

Chi sono?

Gli yazidi sono un gruppo di etnia curda che professa una religione poco conosciuta, lo yazidismo.

Abitano principalmente le regioni settentrionali dell’odierno Iraq, avendo come luogo sacro il monte Sinjar e come principale centro urbano l’omonima cittadina al confine con la Siria.

Le stime su quanti siano gli yazidi oscillano vertiginosamente, complici i numerosi genocidi a cui questa popolazione è stata sottoposta durante tutta la sua storia. Mentre l’Enciclopedia Britannica ritiene siano fra i 200.000 e il milione, l’ONU si stabilizza intorno ai 400.000 e la Treccani si abbassa fino a 60.000.

La divisione sociale yazida prevede che una parte della popolazione si dedichi all’attività religiosa, mentre un’altra si mantiene laica e provvede al sostentamento del clero.

Posizione delle città di Sinjar e Mosul in Iraq. Fonte immagine: osservatorioanalitico

Qual è la loro religione?

Lo yazidismo è una fede sincretica, che racchiude elementi simili a tutte le fedi nate in Medio Oriente (cristianesimo, islam, ebraismo, zoroastrismo).

Gli yazidi credono in un dio principale, il quale si manifesta attraverso sette angeli creatori. La principale fra queste emanazioni divine è Melek Taus. La sua figura, così come la sua storia, ricorda le vicende di Lucifero per il cristianesimo: Melek era un angelo ribelle, geloso dell’umanità e per questo punito da Dio, che lo rinchiude in una gabbia dalle sbarre infuocate. Ma Melek si pente ed esprime il suo rammarico piangendo, finché le sue stesse lacrime non distruggono le sbarre della gabbia di fuoco in cui è rinchiuso. Il suo profondo e sincero pentimento gli permetterà di tornare nelle grazie di Dio, tanto che per gli yazidi Melek Taus è tuttora oggetto di venerazione sottoforma di pavone.

Fonte immagine: yazidiculturalheritage

Proprio per la grande somiglianza della storia di Melek Taus con quella di Lucifero e di Iblis (l’equivalente di Satana nell’islam), gli yazidi sono stati spesso etichettati come adoratori di Satana. Questo preconcetto ha influito non poco sul trattamento che è stato loro riservato durante i secoli di dominazione ottomana e, più recentemente, dell’ISIS.

Altre tracce di cristianesimo in questa fede sono alcuni rituali tipici, simili al battesimo e alla comunione. Si pratica una forma di digiuno simile a quella musulmana, e la circoncisione non è obbligatoria ma piuttosto comune.

Gli yazidi sono strettamente endogamici, quindi sono soliti sposarsi all’interno della comunità, e la poligamia non è diffusa.

Molti studiosi si trovano in disaccordo su quanto sia corretto inserire gli yazidi fra le sette islamiche. Qualcuno li classifica insieme ad alcune correnti mistiche sciite, mentre l’islamologo Alessandro Bausani è dell’opinione che lo yazidismo abbia poco a che vedere con l’islam, preferendo avvicinarli ai movimenti cristiani gnostici.

I libri fondamentali per gli yazidi sono due: il Libro della Rivelazione e il Libro Nero. Tuttavia, la tradizione orale di trasmissione della conoscenza e delle tradizioni ricopre ancora un ruolo fondamentale.

Fonte immagine: yazidiculturalheritage

Le persecuzioni

Si stima che il popolo yazida abbia subito circa 73 genocidi, per un totale di 23 milioni di vittime durante tutta la propria esistenza.

Avendo sempre abituato nella medesima zona, gli yazidi hanno vissuto diverse epoche di occupazione della loro terra. Mentre le dinastie persiane non hanno portato avanti particolari discriminazioni nei loro confronti, gli yazidi hanno subito emarginazione e violenza da musulmani wahhabiti – una particolare corrente di islam conservatore – e anche da molti sunniti. Quando gli ottomani dominavano l’Iraq, gli yazidi erano sottoposti a una continua persecuzione, un sistema che si ripeté durante la dittatura di Saddam Hussein (1997 – 2003): egli decise di conteggiare gli yazidi come “arabi”, in modo da falsare le percentuali etniche durante il censimento. Quest’operzione di accompagnava a numerose altre forme di discriminazione, che portarono alla migrazione di migliaia di yazidi. Tutt’oggi esiste una grande comunità yazida in Germania, dove i curdi emigrati sono numerosi.

La persecuzione più tristemente nota è quella che risale all’occupazione di Daesh dei territori abitati dagli yazidi.

È l’agosto del 2014 e lo Stato Islamico è guidato da Al-Baghdadi, che ha fatto la sua prima apparizione pubblica appena due mesi prima. I miliziani dell’ISIS entrano nella piana di Ninive, a est della città di Mosul e situata nel nord dell’Iraq, e iniziano uno sterminio senza precedenti. Circa 10.000 yazidi cadono fra le mani di Daesh, di cui si stima che 7.000 vengano fatti prigionieri, mentre i restanti 3.000 siano morti, uccisi dai miliziani o di fame e stenti dopo essere stati rapiti. Nel caso delle donne, il rapimento è mirato a convertirle e renderle schiave dei miliziani. Non di rado le yazide, così come molte donne cadute nel giogo dell’ISIS, sono state sottoposte a torture e violenze sistematiche.

Gli yazidi sfuggiti alle incursioni dei miliziani si rifugiano sul monte Sinjar, luogo a loro sacro, e sopravvivono grazie agli aiuti statunitensi e inglesi. A denunciare la loro situazione precaria è Vian Dakhil, unica deputata yazida del parlamento iracheno, che in un suo discorso mette l’accento su una situazione fin troppo ignorata e a lungo taciuta anche dal governo iracheno.

La deputata Vian Dakhil. Fonte immagine: nbcnews

Gli yazidi oggi

Durante la sua visita in Iraq, a marzo 2021, Papa Francesco ha riportato l’attenzione sulla situazione yazida. Non era il primo, perché nel 2018 il Premio Nobel per la pace venne conferito proprio a una donna yazida, Nadia Murad, di cui parleremo prossimamente.

Proprio Nadia, durante la cerimonia di premiazione a Stoccolma, richiama l’attenzione mondiale sulla situazione degli yazidi, continuamente sottoposti a violenze indiscriminate. Nadia non dimentica di sottolineare che l’ISIS ha rapito circa 6.700 donne nell’attacco del 2014 e che, fra queste, di circa 3.000 si sono perse le tracce. L’attivismo di Nadia, insieme alla sua incrollabile volontà di riportare la luce sulle violenze subite dagli yazidi e dalle tante altre minoranze discriminate al mondo, risveglia la coscienza mondiale e aumenta la consapevolezza che, oltre alla protezione umanitaria, sia necessario fare giustizia e perseguire chi si macchia le mani di tali crimini.

Insieme a Nadia Murad lotta anche Amal Clooney, sua avvocata e attivista per i diritti umani.

Fonti

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