Agricoltura tunisina: dal colonialismo al neoliberismo
Risultato di più di un secolo di politiche anti-contadine e delle intenzioni – sia durante l’era coloniale, sia nel post indipendenza – di integrare l’agricoltura del Paese nel mercato globale, il settore agroalimentare tunisino oggi soffre della dipendenza alimentare e dell’impoverimento dei contadini. Sebbene la storia della sua “primavera araba” è considerata di successo, la transizione verso una democrazia sembra essere in realtà molto più complessa: il potere delle élite politiche attuali, le eredità delle riforme coloniali e le negoziazioni con l’Unione Europea rendono difficile per il popolo tunisino ottenere i benefici della loro rivoluzione.
Il paradigma del libero scambio
Il concetto economico internazionale dominante del “libero scambio” afferma che il commercio internazionale su larga scala sia l’unica via percorribile per garantire lo sviluppo di tutti. Sostenendo la rimozione degli ostacoli che possono impedire il commercio globale, come le barriere che gli Stati stabiliscono per limitare le importazioni, regolare i mercati o salvaguardare l’interesse pubblico, si oppone al “protezionismo”, ossia all’idea che una nazione possa proteggere le proprie risorse, il proprio mercato e/o la propria produzione per potersi sviluppare.
Secondo questa logica, il successo economico di un Paese si misurerebbe in base alle importazioni ed esportazioni, senza tenere conto dei costi sociali, umani e ambientali di questo sistema. Tuttavia, il “libero scambio” non è mai stato libero per tutti: in un mondo fondato su gerarchie coloniali ed il dominio dei centri sulle sue periferie, la persistenza di relazioni ineguali e asimmetriche ha contribuito ad aumentare il divario tra nazioni ricche e povere, intrappolando i Paesi del cosiddetto Sud globale in un sottosviluppo sistemico.
Un passo indietro: il colonialismo francese
A partire dai primi anni del 1800, Francia, Italia e Gran Bretagna iniziarono a imporre le proprie condizioni e il proprio controllo sul commercio tunisino, stabilendo prezzi inferiori per l’esportazione di olio d’oliva, grano duro e prodotti artigianali. Nel 1860, queste potenze controllavano il 92% del commercio del Paese. Sebbene ciò avesse scatenato numerose rivolte, alla fine rappresenta non altro che un ulteriore episodio di estrazione del massimo surplus possibile dalla Tunisia rurale, e un’opportunità per le potenze occidentali di dominare il futuro finanziario della Reggenza di Tunisi. Questo processo culminò con l’invasione della Francia nel 1881, che impose un “protettorato” sul Paese, il quale fu una colonizzazione de facto.
L’introduzione del catasto nel 1885 permise ai coloni di appropriarsi delle terre più produttive, destinate principalmente alla coltivazione di olivi, viti e grano tenero, prodotti molto richiesti dal mercato francese. Una vera e propria espropriazione dei contadini a favore del settore coloniale privò la popolazione locale delle risorse minime per vivere, provocando il primo vero significativo esodo dalle campagne verso la città di Tunisi.
Il post indipendenza
Nonostante l’indipendenza ottenuta nel 1956 e la fuoriuscita dei coloni dal territorio, il sistema economico che questi ultimi avevano creato rimase e, anzi, venne ulteriormente ampliato. A tal proposito, la teoria della dipendenza ha analizzato queste dinamiche, sostenendo che la continua dominazione imperialista e neo coloniale, lo sfruttamento e le relazioni commerciali ineguali tendono a bloccare lo sviluppo industriale del Sud, intrappolando i Paesi post-coloniali in uno stato di “sottosviluppo permanente”.
Non a caso, dopo l’indipendenza, il presidente Habib Bourguiba sceglie di seguire il percorso coloniale, adottando un modello di agricoltura intensiva, con moderni macchinari e orientato all’export, da lui stesso dichiarato “il modello giusto da seguire”. Le terre dei coloni sono state nazionalizzate e integrate nelle terre dello Stato, invece di essere restituite ai vecchi proprietari precedentemente espropriati dai francesi.
Il mercato neoliberale e le pressioni delle istituzioni finanziarie
Dopo il fallimento dell’esperienza socialista di Ahmed Ben Salah negli anni ‘60, allora Ministro dell’Economia, con il suo ambizioso programma di riforma agraria che mirava ad aumentare la produttività agricola e migliorare le condizioni di vita dei contadini attraverso la formazione di cooperative, il Paese sperimenta un cambiamento radicale negli anni ‘70: da un tentativo di capitalismo di Stato si passa a una sorta di liberalizzazione controllata, che apre la strada al lungo processo di neoliberismo iniziato a partire dalla metà degli anni Ottanta.
Un aspetto continua ad apparire chiaro: analizzando i cambiamenti nell’agricoltura tunisina a partire dall’800 fino ai giorni nostri, sono sempre stati caratterizzati da una logica comune e da una serie coerente di politiche, fortemente indirizzate dalle istituzioni finanziarie esterne. Gli attori occidentali, tra cui in particolare l’Unione Europea, hanno sostenuto l’adozione delle stesse politiche economiche che, secondo molti, appaiono controverse che mirano di fatto a soddisfare i fabbisogni del mercato europeo. Una delle istituzioni più influenti ad oggi è la Banca Mondiale, la cui strategia generale per lo sviluppo rurale è stata incorporata quasi senza soluzione di continuità nei piani governativi della Tunisia. Il filo conduttore dell’orientamento della Banca Mondiale è stato quello di spostare le attività agricole verso forme di proprietà privata strettamente collegate al mercato mondiale.
A dare il via alla trasformazione neoliberale nel Paese è stata la “riforma agraria” introdotta dalla Legge 88, che ha ridefinito le modalità e le condizioni di accesso ai terreni agricoli collettivi, eliminando le barriere che proteggevano – almeno in parte – i terreni collettivi dall’appropriazione privata. Da questo momento il governo tunisino, sotto la spinta dell’Europa, ha intrapreso un’accelerazione delle politiche di liberalizzazione. Nel 1983 il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale approvarono altre misure di liberalizzazione dei prezzi, i quali salirono a livelli impressionanti: una pagnotta da 700 grammi, alimento base per la maggior parte dei poveri, da 80 millesimi arrivò a costarne 170. Nonostante le rivolte del pane che si diffusero in tutto il Paese come risposta all’aumento dei prezzi, le IFI (Istituzioni Finanziarie Internazionali) intensificarono le pressioni sul governo tunisino per accelerare la liberalizzazione del mercato, e nel 1986 fu firmato un altro Programma di aggiustamento strutturale.
La Banca ha espresso la sua logica con chiarezza, nel suo documento Rural Development: From Vision to Action del 1997 afferma che lo sviluppo rurale richiede “un’agricoltura e un’industria agroalimentare competitive come principali motori della crescita”. Ed è proprio su questa logica che si continuano a firmare accordi e ad alimentare la dipendenza – ormai cronica – della Tunisia sulle importazioni.
Ad oggi il 76% del commercio tunisino è diretto o proviene dall’Europa, rendendo quest’ultima il suo principale partner commerciale. È interessante notare che l’UE assorbe tra il 63% e il 77% di tutte le esportazioni agricole e alimentari, mentre i prodotti agricoli e alimentari importati dall’UE alla Tunisia non superano il 39% e il 40% delle importazioni totali. I produttori europei guadagnano così maggiori quote di mercato rispetto ai loro omologhi tunisini, e questo significa anche che gli sbocchi delle esportazioni tunisine dipendono in larga misura dalle decisioni europee in merito alla propria politica agricola.
Nel 1995 le due parti hanno firmato l’Accordo di Associazione (AA), nell’ambito del Processo di Barcellona. L’accordo si inserisce negli obiettivi del Processo di Barcellona voluto dagli stati dell’Unione per la creazione di un’area di libero scambio e una “maggiore integrazione con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo”: l’abolizione delle tariffe imposte alle esportazioni verso l’Europa migliora automaticamente la loro competitività sul mercato tunisino, mentre il mantenimento di tariffe e quote elevate su molti prodotti agricoli che sono importanti esportazioni tunisine, come l’olio d’oliva e i datteri, ha limitato la capacità della Tunisia di diversificare le proprie esportazioni al di là dei prodotti agricoli e manifatturieri di basso valore.
La dipendenza della Tunisia dall’Europa e l’evidente asimmetria tra le due parti impediscono la possibilità di un negoziato equilibrato, nonostante le dichiarazioni ufficiali secondo cui i negoziati applicano il principio di un “approccio asimmetrico sempre a favore della Tunisia” per correggere lo squilibrio di potere. Negli anni ’90, l’Accordo di Associazione è stato preceduto dall’offerta di un prestito dell’UE, che ha influenzato i negoziati tra le due parti, costringendo la Tunisia ad accettare il progetto liberale dell’Europa per accedere ai fondi necessari. Nel 2014, il Paese si è trovato in una posizione simile quando l’UE ha offerto alla Tunisia un prestito di 300 milioni di euro poco prima dell’avvio dei negoziati per la DCFTA, l’ultimo tra gli accordi di libero scambio.
Conclusione
Per evitare che tali dinamiche continuino a ripetersi e per rendere meno eurocentrico l’attuale sistema economico-commerciale, è necessario adottare una serie di strategie mirate.
Accordi commerciali come il DCFTA rafforzeranno le disuguaglianze esistenti, insistendo sul “libero scambio” e privando così la Tunisia della sua sovranità, del suo spazio politico e della sua capacità di sviluppo, rafforzando gli interessi delle classi più ricche del Paese a spese del resto della società e trasferendo le proprie risorse e il valore aggiunto dei prodotti locali in Europa.
Bibliografia
- From food security to food sovereignty in Tunisia: main challenges and obstacles, Karim Ben Kahla
- Capitalism and Agrarian Change in North Africa, Adam Hanieh
- What Kind of Development for the MENA Region? Environmental Justice, Extractivism and ‘Sustainable Development, Hamza Hamouchene
- Food Insecurity and Revolution in the Middle East and North Africa, Habib Ayeb & Ray Bush
- Deep and Comprehensive Dependency: How a trade agreement with the EU could devastate the Tunisian economy, Layla Riahi & Hamza Hamouchene