Il Sufismo e le sue pratiche: oltre il MENA

Se in un giorno qualsiasi vi capitasse di salire su un taxi giallo quasi d’epoca – che in fondo non sapete neanche voi come riesce a tenersi in piedi – e, se in quello stesso taxi, oltre a una folta pelliccia a coprire il cruscotto, sentiste una sorta di litania quasi incomprensibile, sparata a tutto volume, provenire dalle casse della piccola radio di quel vecchio taxi, quasi sicuramente quello che state sentendo è un canto rituale sufi.

Taxi in Senegal – Fonte: Comptoir des Voyages

Se poi vi trovate a Dakar, la capitale del Senegal, ci sono alte probabilità che vi troviate al cospetto di un  Baye Fall. I Baye Fall sono un gruppo di devoti all’interno della confraternita sufi Muridiyya, noti per la loro devozione e per le loro pratiche spirituali. Le confraternite, o ṭuruq, sono più propriamente dei percorsi spirituali che si dipartono dalla shari’a, la via ampia seguita dalla maggior parte dei musulmani. Come avevamo trattato già in un precedente articolo, la ṭarīqa è quindi una “via stretta” attorno alla quale si radunano diversi discepoli che trovano in essa una guida verso la conoscenza diretta di Dio attraverso una serie di pratiche e discipline.

Durante la mia recente permanenza in Senegal, mi sono spesso imbattuta in suoni e canti propri dei Baye Fall, che mi hanno portato a riflettere su quanto l’Islam nel tempo si sia intrecciato con le culture che ha incontrato nei diversi paesi in cui si è diffuso, ma sia stato anche capace di mantenere alcune caratteristiche trasversali che sono riconoscibili in qualsiasi parte del globo le si incontri. 

In quanto approccio alla fede islamica che enfatizza la purificazione spirituale e l’unione con Dio, il sufismo offre un perfetto esempio di come, pur rimanendo radicato sui principi fondamentali dell’Islam, il misticismo islamico sia stato capace di innovarsi e adattarsi alle diverse comunità con le quali è venuto a contatto. 

Le preghiere cantate dei Baye Fall del Senegal, sono infatti un elemento riscontrabile nella maggior parte delle altre ṭuruq, tanto da essere considerate elementi fondamentali nella pratica spirituale dei sufi al pari del dhikr (ripetizione dei nomi di Dio). 

L’importanza di questi due elementi risiede nella possibilità di stabilire una connessione profonda con il Divino, facilitando la concentrazione spirituale necessaria a raggiungere uno stato di unione spirituale e mistica con Dio.

Nello specifico, la ripetizione del nome di Dio (dhikr) è una pratica devozionale individuale o collettiva che ha lo scopo di mantenere una costante consapevolezza della presenza di Allah nella vita quotidiana, promuovendo la pace e la tranquillità interiore. Il termine dhikr, dall’arabo,  significa “ricordo” e può includere la recitazione di formule della professione di fede che  nomi di Allah o suppliche tratte dal Corano o dagli hadith, come “Non c’è altra divinità che Dio” (La ilaha illa ‘llah). Il dhikr può essere svolto ad alta voce o anche in silenzio e ogni ṭarīqa sufi adotta modalità differenti di praticare il dhikr

Durante il dhikr, i sufi utilizzano tecniche di respirazione e movimenti del corpo per raggiungere uno stato di annientamento (fana) e di totale assorbimento in Dio. Questi movimenti, come quelli osservati nella danza dei dervisci rotanti Mevlevi (di cui avevamo già parlato qui), sono parte integrante della pratica e aiutano a intensificare l’esperienza spirituale.

Infine, le preghiere cantate e il dhikr sono spesso accompagnate da strumenti musicali tradizionali che contribuiscono a creare un’atmosfera spirituale e a facilitare il raggiungimento di uno stato di rapimento mistico (in arabo wajd).

Preghiera – Fonte: Brookings.edu

Oltre al dhikr, i seguaci del sufismo praticano diverse altre discipline spirituali come la preghiera, la meditazione, il digiuno, la carità, elementi per altro comuni alle più generali pratiche musulmane. Vi è però nel sufismo una peculiarità che riguarda la devozione  nei  confronti del maestro spirituale e nei confronti  tradizione sufi, cruciale per il progresso spirituale del discepolo. Nel sufismo infatti, il ruolo del maestro spirituale (shaykh) è fondamentale: il maestro guida i discepoli lungo il percorso della ṭarīqa, trasmettendo loro il sapere e le pratiche religiose necessarie per raggiungere la purificazione del cuore e l’unione con Dio. La successione dei maestri, chiamata silsila, è essenziale per legittimare gli insegnamenti e risalire agli antenati della confraternita.

Tuttavia, al di là delle differenze e delle similitudini nelle pratiche devozionali, l’obiettivo finale per tutti i sufi è la conoscenza diretta di Dio, raggiungibile attraverso la purificazione interiore e la contemplazione delle verità nascoste della fede. Quando un discepolo raggiunge questo stato di conoscenza, si dice che abbia ottenuto la wilaya (santità), una condizione di massima prossimità a Dio consentita agli uomini.

Le pratiche rituali del sufismo rappresentano un percorso spirituale ricco e affascinante, che ha arricchito la cultura e la religiosità del mondo islamico. Attraverso il dhikr, la guida del maestro spirituale e altre discipline, il sufismo si configura come una corrente trasversale che attraversa tutte le comunità musulmane, influenzando profondamente anche la regione del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA). Infatti, nonostante l’Islam e quindi anche il sufismo siano spesso associati esclusivamente alla regione MENA, è importante riconoscere che la loro importanza e influenza vanno al di là di una semplice associazione geografica. Il sufismo e in più in generale l’Islam hanno creato una rete di connessioni spirituali e sociali che uniscono paesi apparentemente molto lontani su una carta geografica.

A titolo di esempio, tornando in quel vecchio taxi mezzo scassato, molti Senegalesi decidono di recarsi in Marocco – considerato un paese particolarmente importante per la tradizione musulmana – durante il mese di Ramadan, trasformando nel tempo connessioni apparentemente solo religiose in connessioni sociali profonde. Questo fenomeno dimostra come il sufismo sia in grado di connettere diverse culture e comunità, creando un tessuto spirituale e sociale che trascende le frontiere geografiche. La sua influenza è quindi fondamentale per comprendere la ricchezza e la diversità delle tradizioni religiose e culturali presenti nella regione MENA e non solo.

Elena Sacchi 

Fonti

  • Leccese, Francesco Alfonso. Sufi network : le confraternite islamiche tra globalizzazione e tradizione. Milano: Jouvence, 2017.
  • Hillenbrand, Carole. Islam. Una nuova introduzione storica. Einaudi, 2016.
  • Audrain, X. (2004). Devenir «baay-fall» pour être soi: Le religieux comme vecteur d’émancipation individuelle au Sénégal 1. Politique africaine, (2), 149-165.
  • Cesnur, Il sufismo e le presenze sufi in Italia.
  • Foto in copertina: Qayrawan, Cecilia Ragazzi

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