Le miracle du Saint Inconnu: superstizione e noia nel deserto marocchino
Eddine Aljem, al suo primo film da regista, si cimenta con questa commedia raffinata si e pone una domanda: cosa succede se la fede diventa superstizione? Il cinismo con cui risponde attraverso i propri personaggi è disarmante.
La storia è quella di un villaggio sorto nel deserto marocchino attorno al mausoleo di un Santo Sconosciuto. Luogo di culto sorto dopo che un ladro anni prima aveva nascosto una borsa piena di soldi su una collina, scambiata appunto per la tomba di un santo. Il film ruota attorno alla vita di questo villaggio tra la devozione cieca nei confronti del santo, la noia estrema data dall’assenza di prospettive e il tentativo da parte del ladro di rubare la borsa che aveva lasciato sulla collina tempo prima.
Noia, assenza di prospettive e comicità sono le parole chiave di questo lungometraggio:
- Noia: la camera fissa ad inquadrare le scene come quadri in cui i personaggi si muovono, l’estrema ripetitività di immagine, dinamiche e comportamenti da parte dei personaggi trasmettono allo spettatore con precisione il senso di noia e del “non aver nulla da fare” di un villaggio sperduto nel deserto, un villaggio dove anche l’arrivo di un medico nuovo può costituire un avvenimento avvincente ed entusiasmante. I personaggi vivono e soffrono la noia, si annoiano tutto il giorno in attesa della sera per andare a dormire e tornare ad annoiarsi il giorno successivo. Il regista grazie alle scelte stilistiche, alla fotografia e a una sceneggiatura che sembra essere assente per lunghi tratti del film rende la dimensione della noia alla perfezione
- Assenza di prospettive: la noia va di pari passo con l’assenza di prospettive; quella del medico senza pazienti da curare, quella del figlio contadino costretto a coltivare una terra arida e sterile in assenza di pioggia, quella del guardiano del mausoleo, le cui uniche soddisfazioni sono date dal cane e da una finta capacità di mettere in fuga i “vandali” che tentano di raggiungere il mausoleo.
- Comicità: la sottile ironia costruita a scapito dei personaggi presentati come inetti ignoranti, il cinismo nel raccontare l’assenza di tutto in un villaggio già di per sé ai confini del mondo, la costruzione di scene per nulla interessanti e che sono volte solamente a prendersi gioco delle maschere di questo teatro del ridicolo, l’indagare l’inevitabile trasformazione della fede in superstizione, costruiscono una commedia sottile che mai fa realmente ridere. Una tragicommedia le cui vittime privilegiate sono i personaggi e le credenze popolari.
Il film, godibile ma da promuovere con riserva, rappresenta anche la progressiva occupazione del territorio desertico marocchino al fine di controllarne il territorio e i confini, un’occupazione incapace di creare un futuro per la sua popolazione.
Luigi Toninelli