Le isole artificiali di Dubai: tra urbanizzazione e tensione all’impossibile
Dubai ha vissuto nel corso dell’ultimo secolo e specialmente degli ultimi vent’anni una crescita fuori dal comune.
La storia dell’emirato-città, esistente da secoli ma che ha cominciato a svilupparsi in maniera consistente a partire dagli anni ’70 (trovate qui un approfondimento sulla storia degli Emirati Arabi Uniti), vede insieme al suo sviluppo anche un picco nella sua urbanizzazione.
La rapida estensione di Dubai dipende da un importante fattore: l’aumento della sua popolazione. Questo aumento non proviene, come nella maggior parte dei casi, da un aumento delle nascite o da una diminuzione del tasso di mortalità, bensì da un aumento vertiginoso dell’immigrazione verso l’emirato che ha visto un picco in questi ultimi anni.
Dubai ha infatti sperimentato un aumento della popolazione del 1000% negli ultimi 40 anni, arrivando a raggiungere i 3,3 milioni di abitanti nel 2019. Di questa porzione di popolazione, la maggior parte proviene dall’Asia, in particolare dall’India. Al contrario, la popolazione locale di nativi emiratini è molto più bassa rispetto alla popolazione immigrata.
Tale aumento è derivante da elementi quali lo slancio economico ottenuto da Dubai a seguito della scoperta del petrolio e sui successivi investimenti nazionali e internazionali: la crescita economica ha spinto il governo a orientarsi su una serie di progetti urbani di rinnovamento del territorio. Così, sono nate nel giro di pochi anni autostrade, centri urbani prima inesistenti, palazzi in cemento e costruzioni architettoniche moderne. L’area urbana si è diffusa da un piccolo centro che corrisponde ora al centro storico nel lato orientale dell’emirato, arrivando a creare una serie di centri moderni e urbanizzati che si estendono verso ovest. Questa crescita corrisponde, consequenzialmente, a un aumento nella richiesta di manodopera, non necessariamente qualificata: è qui che è entrato in campo l’aumento dell’immigrazione per quella percentuale di lavoratori provenienti dall’Asia sopracitati. La crescita della città e delle sue infrastrutture ha provocato una reazione a catena, creando più spazi per la popolazione in entrata e più posti di lavoro – anche se in molti casi temporanei.
Con la crescita dell’economia dell’emirato, questo è diventato appetibile per diverse classi di lavoratori provenienti sia dall’Asia che dall’Occidente, attirati dall’alto tasso di investimenti internazionali e dall’alta fascia di salari disponibili per determinate classi sociali.
Da un punto di vista urbano, Dubai è divisa in diverse zone, sviluppatesi prima lungo il lato est della città lungo il Creek, in seguito sulla costa, e infine nell’entroterra, in gran parte desertico.
Deira, la parte storica della città, si trova ad est ed è attualmente una delle zone più popolose, nonché abitate dalla popolazione meno abbiente. Gli edifici presentano un’architettura più tradizionale, non moderna, e spesso in condizioni di invecchiamento; d’altra parte, nella stessa area, si trova anche una zona denominata Al Fahidi, con edifici tradizionalmente storici che affacciano sul Creek di Dubai, ovvero il fiume che divide la città. Gli edifici sono quelli classici della tradizione emiratina, ma non sono abitati né abitabili e all’interno si trovano spesso negozi oppure piccoli musei o studi artistici.
Spostandosi verso ovest, una zona particolarmente popolare e ricca è quella di Downtown: in quest’area si trovano i principali hotel di lusso, edifici come il Burj Khalifa e i grandi grattacieli che occupano l’area ad esso circostante; allo stesso modo si trova un’area chiamata Jumeirah, affacciata sul mare e dove si trova invece un altro dei più importanti edifici e hotel di Dubai, il Burj al-Arab.
Particolarmente emblematico e peculiare della città non è solamente la presenza in essa di strutture quali il Burj Khalifa, ovvero l’edificio più alto del mondo, o anche della nuova e caratteristica struttura del Museo del Futuro (una mezzaluna in metallo con calligrafia araba sopra incisa), ma un elemento di stacco e simbolo della creatività o forse della tendenza all’estremo che si palesa nelle strutture architettoniche emiratine è senz’altro la creazione delle cosiddette “Palme” dell’arcipelago delle Palm Islands.
Queste sono delle isole artificiali, la cui creazione è stata ideata dall’emiro di Dubai Sheikh Mohammed bin Rashid al Maktoum. Il progetto, ancora in atto, prevede la costruzione di tre “palme”, che differiscono per zona. Attualmente solo due sono state costruite, mentre la terza, Palm Deira, che è progettata per essere costruita nell’omonima zona, è tutt’ora ai primi stadi della costruzione.
Il nome e la forma prendono ispirazione dalle palme da dattero, figura ampiamente diffusa nella cultura emiratina, rintracciabile anche all’interno di strutture come la grande moschea dello Shaikh Zayed di Abu Dhabi, nella forma di un lampadario in vetro di Murano.
La palma più celebre e la più visitata è Palm Jumeirah: dal “tronco” si estendono 17 “rami”, che culminano in quello che viene chiamato “the pointe”: qui si trova un’area commerciale con negozi e ristoranti, che affacciano sull’hotel Atlantis. Questo si trova nell’area circolare esterna ai rami che circondano la Palma.
Nei rami si trovano migliaia di ville ed edifici ad uso turistico e privato. I prezzi dell’area sono tra i più costosi della città e nel mondo.
La seconda palma costruita, la Jebel Ali Palm, è invece tutt’ora in costruzione. Il nome deriva dalla sua posizione, laterale al porto di Jebel Ali, il più grande nel Medio Oriente. L’estensione della palma di Jebel Ali è molto maggiore rispetto a quella di Jumeirah, e per questo motivo la sua costruzione è ancora in fase di completamento. Al momento, si trova in stallo a partire dal 2008 a seguito della crisi, ma la sua progettazione prevede piani simili a quelli riservati per la palma Jumeirah: costruzione di proprietà private, marine e parchi divertimento.
Il progetto per la costruzione delle Palme è stato avviato nel 2001, eseguito dalla Nakheel Properties, attraverso l’utilizzo di milioni di metri cubi di sabbia prelevati dal fondo marino, per la costruzione della prima palma Jumeirah. Per la sua costruzione non è stato utilizzato cemento.
Il progetto ha naturalmente provocato un impatto ambientale che ha visto la deteriorazione del sistema marino, sia da un punto di vista della fauna che delle correnti, dovuto allo spostamento delle enormi quantità di sabbia utilizzate per la costruzione delle isole. L’isola di Jumeirah stessa risente delle condizioni naturali quali venti e correnti che inevitabilmente danneggiano la struttura artificiale costruita nel Golfo.
Oltre a questo progetto, altre isole artificiali costellano il mare di fronte a Dubai: un arcipelago chiamato “the World”, infatti, è stato costruito seguendo un progetto ultimato nel 2008.
Come si evince dal nome e dalla forma stessa dell’arcipelago, si tratta di isolotti artificiali posizionati in modo da creare la forma di un planisfero. Questo progetto, il cui obiettivo era di creare delle isole private acquistabili dai privati, sembra tuttavia essere stato fallimentare. Infatti, nonostante non vi siano conferme, si presuppone che le isole siano in forte stato di deterioramento, e non vi sono investimenti effettuati su nessuna delle isole.
Questi sono esempi che si fanno espressione di una mentalità e di una tendenza da parte del governo emiratino al tendere sempre più verso qualcosa di – perlomeno visivamente e concettualmente – irraggiungibile, dipendente indubbiamente dall’incredibile progresso che l’emirato è riuscito a raggiungere nelle ultime decine di anni.
L’effetto che si viene a creare è quello di una città di assoluti, di sfarzo e di un lusso a volte difficile da giustificare, ma fratturata visibilmente tra il lato dell’innovazione, del progresso della tensione verso l’impossibile, e il lato della popolazione che contribuisce invece alla costruzione di questo regno sfarzoso ed eccentrico.
Chiara Ricchiuto