Turismo sostenibile? Il caso egiziano

Negli ultimi anni, e in particolar modo nell’ultimo decennio, la parola sostenibilità è sulle bocche di tutti: molteplici sono i discorsi incentrati sul cambiamento climatico, sappiamo quanto la plastica inquini i nostri oceani e lo spreco energetico impatti sul pianeta, o ancora di come le microplastiche provenienti dalle fibre tessili dei nostri vestiti si disperdano nell’ambiente per poi venire ingerite dagli organismi marini, finendo così sulle nostre tavole. nSiamo invitati ad adottare uno stile di vita quanto più attento e consapevole per noi stessi e per chi ci circonda: le nostre scelte, infatti, hanno un forte impatto sull’ambiente in cui viviamo.

Ridurre il consumo di carne e preferire prodotti riutilizzabili a quelli usa e getta è un passo importante e necessario, ma anche il nostro viaggiare impatta sul pianeta: quante volte abbiamo preso un aereo? Oppure ci è capitato di andare in albergo e vedere le enormi quantità di cibo sprecate quotidianamente? O visitare un luogo di attrazione, una famosa spiaggia, per poi allontanarsi e notare la sporcizia che vi è al di fuori dei posti a portata dei turisti?

Il turismo è oggi una delle principali attività economiche del mondo e, al tempo stesso, tra le più inquinanti, in special modo quello considerato “di massa e di lusso”, associato ai pacchetti all-inclusive e ai soggiorni nelle famose catene alberghiere. Si prevede che il settore crescerà a un tasso del 3,9% annuo, aumento che interesserà anche il numero di turisti, e proprio per questo motivo lo sviluppo di un “turismo sostenibile” è oggi una necessità: un turismo che possa soddisfare le esigenze dei turisti di oggi e delle regioni ospitanti, mantenendo l’integrità culturale, la diversità biologica e i sistemi di vita dell’area interessata, agendo in armonia con l’ambiente e le comunità locali, senza che essi siano vittime dello sviluppo turistico.

Il caso egiziano

Superata la crisi dovuta all’instabilità politica del paese e alle minacce del terrorismo, negli ultimi anni, grazie a una rinnovata percezione di sicurezza, l’Egitto è tornato ad essere tra le mete preferite dei vacanzieri italiani, e l’Italia, a sua volta, continua ad essere uno dei mercati principali per il turismo egiziano: nel 2019 si sono registrati più di 500mila arrivi, attratti sia dalla millenaria storia del paese, che dalle coste del Mar Rosso e la sua barriera corallina.

Fonte immagine: Coral’s Garden

Il ritorno dei turisti, oltre a beneficiare il Pil del paese, ha però aumentato i rischi legati alla preservazione della barriera corallina egiziana (già minacciata dal cambiamento climatico), facendo suonare un ulteriore campanello d’allarme per l’ambiente.

“E’ evidente come, nei periodi con meno affluenza turistica, la barriera sia molto più florida e pulluli di vita marina”, dice Romiel, impiegato presso un resort di Marsa Alam, una delle mete turistiche più gettonate che si affaccia sul Mar Rosso. Quasi tutte le strutture balneari della zona presentano un pontile che dalla spiaggia facilita l’accesso in acqua, permettendo di “superare” la barriera al fine di preservarla: è infatti vietato camminare sul reef o staccarne dei pezzi. Ma perché questi comportamenti sono sbagliati ed è pericoloso toccare i coralli? Ogni costruzione di corallo è in realtà una colonia di minuscoli animali (chiamati polipi) che impiega decine o centinaia di anni per formarsi, è molto sensibile all’innalzamento delle temperature dei mari (da qui il fenomeno distruttivo dello “sbiancamento”, che provoca la morte le barriere e i loro ecosistemi) e una sola mano appoggiata a un corallo può portare alla morte di un’intera colonia.

Nonostante i cartelli dei divieti siano ben esposti, ogni giorno Romiel deve richiamare i bagnanti che, incuranti, toccano la barriera o addirittura vi camminano sopra nei momenti di bassa marea.

“Senza i turisti un altissimo numero di egiziani perderebbe il lavoro, sono felice che il nostro paese venga apprezzato e scelto come meta per le vacanze, ma la gestione dev’essere improntata sulla preservazione del nostro territorio, al contrario di come spesso accade: oltre ad alcuni ospiti che non si curano dell’ambiente circostante, i tour operator che lavorano negli alberghi organizzano numerose escursioni giornaliere, attività come snorkeling e subacquea che quotidianamente portano centinaia di persone ad affollare i principali siti di immersione”.

A tal proposito, l’Hurghada Environmental Protection and Conservation Association calcola che ci siano all’incirca 1700 imbarcazioni turistiche ad operare nel Mar Rosso, e che queste spesso utilizzano ancore dannose per i coralli, oltre a sovraffollare i punti di immersione andando a modificarne gli ecosistemi.

Fra le strategie messe recentemente in atto, si è pensato ad un numero limite di partecipanti alle escursioni, all’utilizzo di boe per segnalare tali siti (sostituendo le ancore) e al divieto di plastica monouso sulle imbarcazioni.

Nel 2014 venne lanciato il progetto Scuba Tourism for the Environment–Red Sea Biodiversity Monitoring Program (Ste), in cui, a Marsa Alam e Sharm el-Sheikh, i turisti venivano sensibilizzati tramite delle rapide lezioni di biologia marina e, tra un’immersione e l’altra, venivano fatti loro riconoscere gli organismi avvistati e monitorato se vi erano coralli morti per poi, dalla somma delle osservazioni, poter avere un quadro generale della composizione dell’area e quel che vi accade.

Chi è stato in Egitto sa inoltre che lo smaltimento dei rifiuti non è uno dei fiori all’occhiello del paese: si stima che il solo settore turistico produca ogni anno il 14% di tutti i rifiuti solidi globali. I turisti occidentali tendono a mantenere il loro stile di vita anche nei posti in cui si recano, producendo all’incirca 1 chilogrammo e mezzo di rifiuti al giorno, una media di gran lunga maggiore rispetto a quella prodotta dagli abitanti del luogo, luoghi che spesso non dispongono di un sistema di gestione dei rifiuti adatto a numeri di grande portata. Difatti, basta allontanarsi di poco dai resort e dai principali centri di attrazione turistica per scoprire una triste verità: distese di rifiuti lungo la costa o abbandonati in delle conche nel deserto.

Il turismo è dunque un fenomeno che può essere contradditorio: da una parte contribuisce allo sviluppo socio-economico dei paesi, dall’altro può apportare degrado ambientale e essere la causa della perdita di identità locali.

Essere un viaggiatore responsabile non significa dover rinunciare al comfort, ma tutti noi, da turisti, possiamo avere delle accortezze in più, ad esempio preferendo delle sistemazioni autonome alle grandi catene alberghiere, non sprecando cibo in hotel o fare lavare quotidianamente gli asciugamani, raccogliere dei rifiuti dalla spiaggia e non portare via come souvenir sabbia, conchiglie o coralli.

Alessandra Soldi


Fonti

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