Abie Nathan: l’impresa per la pace
“I will personally act to promote peace between Israel and its neighbors’ by flying to Egypt to talk with Nasser and ‘break the ice’”.
Questa frase non è stata pronunciata nel contesto di un importante vertice internazionale, ma bensì dall’aviatore, ristoratore e attivista pacifista israeliano Abie Nathan. Un “uomo comune” che tra gli anni ‘60 e ‘90 ha avuto un grande impatto sul pubblico israeliano grazie al suo intento di promuovere la pace in Medio Oriente.
Nato in Iran da una famiglia ebraica yemenita, si unisce in giovane età alla Royal Air Force a Bombay per poi, nel 1947, trasferirsi in Palestina e arruolarsi con i ranghi sionisti, effettuando bombardamenti aerei volti a distruggere i villaggi palestinesi. Nel 1950 diventa pilota di linea per la compagnia aerea nazionale El-Al, fino alla svolta e al totale cambio di stile di vita con la fondazione del “California”, un ristorante nel cuore di Tel Aviv.
Le attenzioni verso questo personaggio iniziano con la notizia della sua morte il 28 febbraio 1966 in seguito allo storico volo che, senza permesso e nella totale illegalità, ha portato Abie in Egitto. Quel che viene oggi ricordato come “il volo della colomba di pace” aveva come obiettivo un ricevimento con il presidente Nasser per promuovere i negoziati di pace tra Israele e gli stati arabi.
28 febbraio 1966: fake news
Il 28 febbraio 1966 l’Associated Press, testata statunitense, riportò che, nel suo tentativo di oltrepassare il confine egiziano, il vecchio aereo Stearman si era schiantato da qualche parte nella penisola del Sinai settentrionale, e con lui era morto il suo pilota: Abie Nathan.
Alla notizia della sua morte, centinaia di Israeliani si radunarono al “California”, ristorante di Nathan nel cuore di Tel Aviv, per piangere la sua scomparsa. Anche se aveva annunciato le sue intenzioni di volo con mesi di anticipo, facendo il conto alla rovescia dei giorni che mancavano alla partenza su una lavagna del California, in pochi l’avevano preso davvero sul serio. Nathan in realtà sospettava che le cose non sarebbero andate nel verso giusto, e passò la notte prima del viaggio a scrivere il suo testamento.
Prima del febbraio 1966 il nome di Abie Nathan era noto solo ai lettori più accaniti dei giornali di gossip di Tel Aviv, che chiacchieravano della sua folle idea. La sua “tragica morte”, tuttavia, lo fece apparire sulle principali testate internazionali. Ma fu presto evidente che il tutto era in realtà frutto di esagerazioni mediatiche. Infatti, il 1° marzo 1966, Nathan, tornato sano e salvo dall’Egitto, condivide i dettagli del suo viaggio di andata e ritorno con decine di giornalisti israeliani e stranieri.
I fatti
Nel febbraio del ’66 Nathan affittò un veicolo Stearman a due posti e, una volta parcheggiato a fianco al California, raccolse le firme dei pedoni che, come lui, chiedevano la pace, per poi consegnare di persona la petizione a Nasser.
Alle 7:30 del 28 febbraio, Nathan prenota un volo di prova di routine e porta con sé il suo veivolo Stearman a due posti e un cameraman: con la scusa di voler ottenere una foto migliore, chiede di spostare il suo aeroplano sulla pista principale – una richiesta che non suscitò grandi attenzioni, vista la sua eccentricità – ma prima ancora di scattarla, Nathan prese il posto di comando e decollò.
Nel giro di poco, un piccolo aereo con la scritta “pace” pitturata in ebraico, inglese e arabo sarebbe atterrato a Port Said, in Egitto, realizzando così la promessa di Nathan, il quale avrebbe intrapreso un volo verso l’Egitto per promuovere la pace con il vicino stato e “rompere il ghiaccio”. Gli ufficiali egiziani erano pronti a respingerlo nuovamente in Israele ma Nathan, che atterrò a Port Said con una copia del Vecchio Testamento in vista pronunciando un messaggio di pace, aveva con furbizia pensato di apportare dei piccoli danni al suo Stearman in modo da doversi fermare una notte in territorio egiziano, mentre i tecnici avrebbero provveduto a ripararlo.
Nella notte che passò a Port Said venne ospitato da abitanti del luogo, i quali gli offrirono una cena a base di carne e gli regalarono un modellino delle piramidi da portare con sé in Israele.
Al suo ritorno, scoprì che le testate giornalistiche avevano annunciato la sua morte, descrivendola come il risultato di un gesto irresponsabile che aveva sottovalutato le barbarie egiziane. Volendo smentire il tutto e riportare i fatti reali alla luce, nelle interviste rilasciate in seguito il pilota descrisse il suo volo non autorizzato come la prova da presentare al popolo, alla leadership israeliana e alla comunità internazionale, che gli egiziani erano un popolo accogliente e anch’esso volenteroso nell’instaurare un rapporto di pace.
Poco dopo il suo ritorno, il New York Times rilasciò un articolo che spiegava nel dettaglio l’avventura di Nathan, riportando i principi della petizione che portò con sé in Egitto:
The voice of peace is growing stronger both in the Israel [Sic!] and among our neighbours. But words are not enough; initiative –even if only the initiative of a single individual– is required to get action. This is why I have decided to take this initiative…to suggest a face-to-face meeting with Israel representatives.
La reazione israeliana
Nel mezzo dell’esaltazione del pubblico e la disapprovazione degli ambienti ufficiali, i giornali israeliani hanno inizialmente adottato una linea ambivalente. Il quotidiano Ma’ariv descrisse il suo volo come una sfida nata dall’impulsività del personaggio. Il giornale concorrente Yediot Aharonot premiò invece l’audacia di Nathan.
Il procuratore generale di Israele decise addirittura di non sporgere denuncia per aver intrapreso un volo non autorizzato, spiegando che secondo lui Nathan “credeva davvero che la sua azione avrebbe contribuito a portare la pace tra Israele e il mondo arabo”.
Solo otto giorni dopo il suo ritorno da Port Said, il ministero degli Esteri israeliano avvertì i diplomatici israeliani di tutto il mondo che Nathan era in viaggio verso Roma, questa volta come passeggero di un volo commerciale. In un promemoria diffuso ai consolati europei, il ministero istruì i consoli a trattarlo con gentilezza essendo “una figura divenuta famosa per le sue operazioni ben intenzionate”. Subito dopo il suo atterraggio a Roma, Nathan dichiarò di voler avere un’udienza con Papa Paolo VI per continuare la sua “missione di buona volontà”.
Eppure, l’attivismo di Nathan non piacque a molti diplomatici israeliani, poiché, a detta loro, faceva apparire lo Stato israeliano come incapace e privo di iniziativa.
Voice of Peace, la radio della pace
Rendendosi conto che le sue opinioni non erano in grado di smuovere il governo israeliano, Nathan si rivolse alla sfera culturale. Nel 1969 acquistò una vecchia nave olandese e la portò a New York per dotarla di un trasmettitore. Nel 1973, con il sostegno di John Lennon, leader dei Beatles, iniziò a trasmettere contenuti in tutto il Mediterraneo orientale in inglese, arabo, ebraico e francese da “Voice of Peace”, una nave radiofonica. I messaggi di Nathan, disseminati in tutta la programmazione, parlavano della necessità di pace tra i popoli della regione e, a differenza delle altre emittenti israeliane, Voice of Peace non riceveva finanziamenti statali.
Ogni giorno, al tramonto, la voce di Nathan annunciava che le trasmissioni si sarebbero fermate per trenta secondi per commemorare coloro che erano morti “a causa della violenza nella nostra regione e nel mondo intero” e raccomandava agli ascoltatori di “evitare le persone rumorose e aggressive”. La crescente attenzione di Nathan per le crisi umanitarie in paesi più lontani fece della stazione radio l’espressione della buona volontà israeliana: cittadini israeliani scrissero alla direzione della radio esprimendo la loro disponibilità ad adottare i rifugiati vietnamiti; attraverso una raccolta fondi riuscì a volare in Etiopia, Guatemala, Colombia, Ruanda e Turchia e partecipare a varie missioni di aiuto e nel 1979, tramite un appello radiofonico, riuscì a creare consenso in tutto lo spettro politico per sostenere il suo appello all’assistenza umanitaria israeliana per la crisi in Cambogia.
E ancora, nel 1978 Nathan riuscì a mobilitare 60.000 israeliani per una serata di canti e proteste davanti al municipio di Tel Aviv, esortando il governo di Menachem Begin ad affrontare più seriamente i negoziati con l’Egitto.
Ma la stessa volontà di Nathan di riconoscere l’esistenza di un popolo palestinese e la sua insistenza nel continuare a criticare gli insediamenti israeliani lo collocarono ben al di fuori del consenso israeliano.
Se è vero che molti israeliani ammiravano Nathan, in pochi seguirono il suo esempio. La maggior parte riconosceva il messaggio di pace di Nathan come un invito a partecipare a una ventata di controcultura cosmopolita. Spettegolare su Nathan, leggere di Nathan, ascoltare le sue trasmissioni e infine commemorare Nathan diventarono tutti modi per gli israeliani di sentirsi parte di un amorfo campo di pace con buone intenzioni, anche senza impegnarsi direttamente in un’azione politica.
La prima Intifada
Nel dicembre 1987, allo scoppio della prima Intifada palestinese, Nathan intraprese un’azione che lo avrebbe per la prima volta portato dietro le sbarre. Sebbene avesse incontrato in precedenza i leader palestinesi, prima della fine degli anni Ottanta non volle incontrare i rappresentanti dell’OLP, che si rifiutavano di riconoscere l’esistenza di Israele. Nel 1988, tuttavia, l’OLP iniziò a cambiare la sua linea. Per Nathan, questo fu un invito all’azione e incontrò Arafat in Tunisia, infrangendo così la legge israeliana del 1986 che vietava gli incontri con i leader palestinesi.
Poco dopo il suo rilascio, dopo 122 giorni di carcere, il Primo Ministro Yitzhak Rabin strinse la mano ad Arafat mentre i due firmavano un’intesa iniziale nell’ambito degli accordi di Oslo. Nathan prese il trattato di Oslo come il segnale che la nave Voice of Peace aveva fatto il suo lavoro, e nel 1993 la fece volontariamente affondare.
Con il senno di poi, dopo l’assassinio del Primo Ministro Yizthak Rabin nel 1995, l’ascesa della destra politica in Israele e il collasso del processo di Oslo, Nathan si rese conto che il cambiamento che voleva innescare era stato rapidamente interrotto. Nathan, ormai anziano, fu testimone della seconda Intifada e del crescente rifiuto del pubblico israeliano nei confronti dell’esistenza di un popolo palestinese.
Morì solo in una casa di riposo nel 2008. Una parola in ebraico è incisa sulla sua lapide: “Ho provato”.
Alessandra Soldi