Marocco : le strade come luogo di lavoro

di Alessandra Maronia

Camminando per le strade di Casablanca, o di qualsiasi altra grande città del Marocco, è facile notare come lo spazio pubblico sia concepito e vissuto in maniera peculiare. La strada è l’allungamento della propria casa o il luogo del proprio lavoro. I marciapiedi delle città marocchine, infatti, sono un brulicare di donne, uomini e bambini di tutte le età che vendono merci e offrono servizi che soddisfano più necessità di quante si possa pensare: si possono comprare apparecchi elettronici, vestiti, libri, usato, prodotti da forno; ma ci si può anche pesare con bilance messe a disposizione da anziani che chiedono in cambio un’offerta, oppure, a non mancare mai, sono i bambini che lucidano scarpe agli angoli delle vie principali.

Per questi abitanti la strada è spazio di lavoro e i marciapiedi diventano, in alcuni casi, dei veri e propri suk (mercati) o, a volte, dei centri di impiego.

Il lavoro informale è senza dubbio una realtà che tocca il mondo nella sua totalità. Tuttavia, esso caratterizza in particolare i così detti paesi in via di sviluppo, rappresentandone il 70% dell’economia. Il Marocco rientra a pieno titolo in questa categoria di paesi: il lavoro non regolamentato rappresenta il 30% del PIB e genera annualmente una somma pari a 410 miliardi di dirham. Ogni profilo e ambiente di lavoro informale ha un nome specifico, ciò significa che si tratta di realtà ben consolidate e costanti nel tempo: i moukef, i ferracha, le joutia fanno parte della quotidianità delle città del paese.

I moukef

Il lavoro informale è un fenomeno perlopiù urbano che nell’ultimo decennio ha subito un incremento esponenziale a causa del processo di urbanizzazione e della crisi economica. Il mercato del lavoro nelle grandi città, infatti, non è riuscito ad assorbire la grande quantità di lavoratori arrivati dalle zone rurali, causando un surplus di manodopera non occupata.

I moukef rappresentano, in questo senso, dei veri e propri mercati spontanei e informali di impiego, dove lavoratori attivi ma disoccupati offrono giornalmente la propria forza lavoro.

La parola “moukef” significa letteralmente “luogo dove i cercatori di lavoro restano in piedi”, sono degli spazi dove la domanda e l’offerta di lavoro si incontrano in maniera diretta: da una parte ci sono i potenziali lavoratori che offrono la propria manodopera, e dall’altra ci sono i potenziali datori che si recano sul posto con camion destinati a trasportare eventuali candidati sul posto della mansione. I moukef hanno luogo in punti strategici della città, come davanti alle porte della medina e sono un fenomeno che riguarda in particolare le città tradizionali come Meknes, Fes e Marrakech.

Questi sistemi spontanei di assunzione rappresentano la prima e l’ultima alternativa delle persone provenienti dalle campagne che non dispongono né di capitale finanziario né professionale, una tappa temporanea, ma per molti necessaria per entrare nel mondo del lavoro. L’unico requisito per un moukfi, infatti, è la disponibilità a svolgere qualsiasi tipo di compito che vada dal settore agricolo, all’industria e alla costruzione. Sebbene vi sia una maggioranza di uomini, i moukef rappresentano un mezzo di integrazione al mondo del lavoro anche per le donne, soprattutto in periodi specifici come quelli della raccolta delle olive e delle albicocche.

Salari e condizioni sono negoziati fino all’estremo e il datore di lavoro si trova sempre in una posizione di forza. Per questo motivo molti lavoratori si organizzano in gruppi dove la solidarietà rappresenta uno strumento di protezione sociale e garanzia di efficienza.

I ferracha

La solidarietà è lo strumento spontaneo messo in atto anche dai venditori ambulanti che popolano le strade principali soprattutto in metropoli come Casablanca. La condizione dei ferracha – dal nome delle bancarelle (o dei teli) su cui espongono le merci – è in effetti peggiorata dalla pandemia da COVID-19, situazione che ha spinto i comuni ad incrementare i tentativi di regolamentazione delle attività informali che si svolgono negli spazi pubblici. Nello specifico, il comune di Casablanca, città che conta più di 130mila venditori ambulanti, si è occupato nell’ultimo anno della campagna di “Liberazione del dominio pubblico occupato” con lo scopo di liberare gli spazi pubblici da ferracha e dai caffè che si espandono per strada senza permessi.

Le ragioni di sicurezza sanitaria sono state rafforzate dalle pressioni degli abitanti delle strade più toccate dalla presenza dei ferracha, che lamentano tale condizione come una vera e propria “contaminazione” dello spazio, uno stato di anarchia.

Sebbene le azioni di contenimento messe in atto dalle municipalità si siano rivelate, a detta dei residenti, dei fallimenti, la vita dei ferracha è stata toccata in maniera importante. In uno studio sociologico sulle donne ferracha del quartiere Bousbir di Casablanca (in pieno centro) Chaimaa Ait El Kadi riporta le parole di alcune venditrici ambulanti costrette a non lavorare per mesi, e per le quali la ferracha rappresenta la principale fonte di sostentamento. Per far fronte a questa enorme difficoltà, le donne creano reti di solidarietà che si configurano come mezzo di resilienza. Nello specifico, quando alcune donne non possono andare a lavorare, le altre vendono le merci per loro, riuscendo così a non spezzare del tutto la rete di clienti.

Il disagio vissuto da queste donne, però, non è solo un disagio economico; è anche un disagio identitario. Ait El Kadi spiega come lo spazio di lavoro e il mestiere stesso facciano ormai parte dell’identità di queste donne ferracha, per le quali la loro bancarella e il loro spazio è “l’unica cosa che conoscono”. Le donne intervistate raccontano come abbiano organizzato la loro vita intorno a “la ferracha”, persino lo spazio fisico come la strada viene chiamato “joutia” riferendosi agli oggetti che appartengono a loro e che vendono, e ai quali identificano la loro attività. Questa stretta connessione tra lavoro, spazio e identità è dovuta alla longevità del mestiere, alcune donne intervistate occupano lo stesso spazio e con la stessa ferracha dagli anni ‘80.

Questo dato sulla longevità del lavoro delle ferracha è molto esplicativo sulla condizione peculiare del lavoro informale in Marocco, in cui , come si è detto, anche la vita personale si svolge per strada, con un grado significativo di permissività da parte del governo. La questione dell’informalità nel regno magrebino è complessa. In questo caso si è parlato solo di lavori che hanno come contesto di realizzazione la strada, ma I lavori non regolamentati e i contesti informali sono molteplici e riguardano i campi più disparati della vita sociale e dell’economia delle città. Basti pensare ai concierge degli edifici o i moqaddem. In entrambi i casi figure ufficialmente non regolamentate o non riconosciute formalmente che ricoprono, però, dei ruoli fondamentali nel funzionamento della vita quotidiana dei quartieri cittadini e di cui la municipalità si serve ampiamente. In paesi a basso reddito come il Marocco, l’informalità è largamente permessa dal governo in quanto riempie il vuoto di welfare lasciato dallo Stato: permettere alle persone in difficoltà di crearsi la propria fonte di guadagno è una valvola di sfogo per contenere il dissenso.

[1]Portieri degli edifici residenziali, molto comuni in Marocco. Tali figure sono fondamentali nel funzionamento dello stabile,della sua gestione, pulizia e nell’aspetto relazionale tra inquilini. I portieri raccolgono le bollette e le distribuiscono ai residenti, gestisconol’immondizia e forniscono assistenza tecnica negli appartamenti, sorvegliano il palazzo anche durante la notte. Tuttavia si tratta di un lavoroinformale in quanto questa figura non è rgolamentata da nessun testo legale, i concierge non hanno un contratto e non godono dei dirittidella Cassa Nazionale di Sicurezza Sociale, tra cuinl’assicurazione medica.

[2]“Il moqaddem è l’agente pubblico più vicino alla popolazione, l’ausiliare dal grado piuù basso nella scala di personificazione dello Stato.Egli rappresenta contemporaneamente l’arbitrarietà del potere e l’assistenza giornaliera. Le sue mansioni sono vaghe, ma il moqaddemdeve essere al corrente di tutto e assicurare, a livello locale, l’ordine e la sicurezza. è onnipresente ma si muove, nel suo complesso, allimite dell’informale: non è infatti pienamente integrato nella funzione pubblica, contrariamente agli altri agenti d’autorità. Nel 2011, imoqaddem hanno avviato un braccio di ferro con il Ministero degli Interni per ottenere lo status d’ausiliare d’autorità. Benché alcunicambiamenti abbiano modificato lievemente la loro posizione a partire dal 2017, il loro ruolo è ancora poco formalizzato”.

Alessandra Maronia

Fonti

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