Il canto della rivoluzione di Abdul Baset al-Sarut

For the sake of your eyes Homs
We pledge our souls
With clasped hands we hold onto you
Alleviating the wound

Queste sono alcune delle frasi che compongono uno dei tanti canti intonati da Abdul Baset al-Sarut per raccontare la rivoluzione, per invocare la protezione sui combattenti, per celebrare la sua città in rovina.

Calciatore, cantante, rivoluzionario e infine martire.
Oppositore, violento, istigatore di folle, obiettivo da eliminare.

Quanti gli aggettivi che questo personaggio si è attirato addosso, quanti occhi che si sono fissati su di lui, occhi ammirati e preoccupati che seguivano le mosse di questo giovane siriano. Abdul Baset Sarout è morto l’8 giugno del 2019, ma cosa rimane del suo ricordo? Che cosa rimane della sua lotta? Quale delle tante immagini che gli hanno cucito addosso sopravvivrà alla sua morte in battaglia?

Fonte: The New Arab

I primi anni

Abdul Baset al-Sarut nasce a Homs, una delle città più popolate della Siria, nel 1992. I primi anni della sua vita sono caratterizzati da un’esistenza ordinaria, quasi banale. E’ un ragazzo come tanti altri che cresce nella Siria di Assad. In città è conosciuto soprattutto per le sue grandi capacità di portiere nella squadra di calcio under 20 di Homs.

Un’esistenza normale appunto. Ma il 2011, le proteste contro Bashar al-Assad iniziate a Dar’a e il successivo scoppio della guerra civile cambieranno ogni cosa.

Già prima che le manifestazioni pacifiche contro il regime si trasformassero in lotta armata, al-Sarut inizia a prendere parte alle manifestazioni pacifiche che hanno luogo per le piazze di Homs. E’ proprio durante questi primi comizi che la sua voce inizierà a farsi sentire e non solo per esprimere il proprio dissenso contro il governo siriano, ma anche per accompagnare le proteste ormai sempre più diffuse con una colonna sonora che diventerà il simbolo della resistenza di Homs.

Le sue melodie, intonate quasi sempre senza una base musicale e composte al momento, gli hanno garantito il nome di ‘cantante della rivoluzione‘. Canzoni che parlano di sacrificio, di amore per la propria città, di insofferenza verso ingiustizie che non si riescono più a tollerare.

I toni della sua musica diventeranno più cupi con il precipitarsi della situazione in Siria: al-Sarut deciderà di prendere le armi e di unirsi alla ribellione, concretizzando così quell’impegno e quella disposizione al martirio celebrata prima solo all’interno della sua musica. La guerra a Homs si combatte di quartiere in quartiere, di appartamento in appartamento. E’ una guerriglia urbana in cui i suoni degli spari si intrecciano con la voce di al-Sarut, che rimbomba nei palazzi abbandonati, nuovi quartieri generali dei ribelli. Gli anni passati a combattere per la liberazione della città sono stati raccontati anche da un docu-film, ‘Return to Homs’, di cui lo stesso Abdul Baset al-Sarut è protagonista.

Nonostante la perdita di molti compagni, tra cui anche alcuni suoi familiari, il giovane rivoluzionario riesce a uscire dalla guerriglia di Homs indenne: nel 2014 centinaia di combattenti ribelli, tra cui al-Sarut, sono stati “evacuati” da Homs con un accordo che ha messo fine all’assedio durato anni.

Il ruolo controverso

La guerra civile in Siria però si è ben presto trasformata in una frammentata battaglia tra molteplici fazioni. All’interno di un contesto già complesso, le ingerenze straniere – a favore o contro la presidenza di Assad – e l’emergere di alcuni gruppi legati allo Stato Islamico hanno contribuito ad acuire le violenze all’interno del paese e a rendere il quadro complessivo ancora meno chiaro. In questo frangente, la figura di al-Sarut, già diventato simbolo della rivoluzione, ha subito un forte contraccolpo legato alle accuse di essersi unito ad un gruppo armato riconducibile allo Stato Islamico dopo la sua partenza da Homs.

Nonostante molti lo abbiano continuato a considerare il rappresentante degli obiettivi originali della rivoluzione, il suo ruolo in questa seconda fase della resistenza rimane controverso. Al-Sarut in seguito ha negato la sua adesione ad alcun tipo di milizia legata allo Stato Islamico, ma che sia trattato di dicerie o di realtà, questo elemento ha gettato una macchia sulla figura del ‘cantante della rivoluzione’ che resta difficile da cancellare.

Quel che è certo è al momento della sua morte era diventato comandate di una delle unità di Jaish al-Izza, un gruppo ribelle affiliato all’Esercito Siriano Libero (FSA, Free Syrian Army).

Fonte: EA Worldview

La morte

L’8 giugno 2019 Abdul Baset al-Sarut è morto proprio mentre era alla guida della sua unità, in seguito alle gravi ferite riportate durante alcuni combattimenti contro le forze del regime nella provincia settentrionale di Hama. All’età di 27 anni, il portiere simbolo della rivoluzione siriana è morto lasciando di sé una Siria che ancora non trova pace.

Tuttavia la sua morte, spesso evocata all’interno di alcune sue canzoni in cui il tema del martirio trovava ampio spazio, ha finito per diventare un elemento fondamentale nella ‘mitizzazione’ di questo personaggio: magliette con il ritratto del suo volto hanno iniziato a spuntare sui siti di vendita online, disegni stilizzati appaiono sui muri delle case e al suo funerale sono state moltissime le persona radunate per rendergli onore. La sua salma è stata trasportata come quella di un martire di mano in mano, come accompagnando questa controversa ma indimenticata figura nel suo ultimo viaggio.

Il simbolo

Alcuni sottolineano che la sua parabola di vita ha in qualche modo rispecchiato anche quella della stessa rivoluzione siriana: iniziata in modo spontaneo e pacifico, per le strade di una città qualsiasi, si è presto trasformata in una lotta armata tra i quartieri di quella stessa città, di appartamento in appartamento per guadagnare isolati di libertà. Poi, la radicalizzazione delle posizioni in conflitto, la guerriglia dalla quale sembra impossibile uscire e della quale è rimasto vittima non solo al-Sarut, ma la Siria stessa.

Il simbolo di al-Sarut, nel bene e nel male, è ormai radicato nell’immaginario della resistenza siriana, dalla quale viene ricordato anche come “guardiano della libertà“, un gioco di parole con il termine arabo che racchiude in sé anche il significato di ‘portiere’.

Elena Sacchi


Fonti

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