This is Iraq: rap di denuncia
Il 20 marzo 2003 le truppe statunitensi entrano in Iraq. L’invasione ufficiale durerà fino a maggio dello stesso anno, ma solo nel 2011 gli Stati Uniti cederanno nuovamente il comando all’Iraq e per tutti questi anni continueranno ad occupare il paese. L’occupazione statunitense ha gettato le basi per una guerra civile durata anni e per una sempre maggior divisione interna, oltre a preparare il terreno per l’ascesa dell’ISIS.
L’allora presidente statunitense George W. Bush giustificò l’invasione con la necessità di destituire il dittatore iracheno Saddam Hussein, in carica dal 1997, accusato da Washington di aver avuto un ruolo negli attentati del 2001 e di possedere armi di distruzione di massa. Chi si schierò a sfavore dell’invasione mal celò il sospetto che gli USA avessero interessi economici nell’area, primo fra tutti il petrolio.
Ad oggi l’invasione degli USA viene letta, più ampiamente, come una mossa strategica mirata a garantirsi un ruolo di controllo, tanto simbolico quanto effettivo. Con l’occupazione dell’Iraq, gli Stati Uniti si sono assicurati una posizione cruciale in una regione caratterizzata da crisi e aree strategiche (si pensi all’adiacente Iran). Sono inoltre riusciti a sottolineare il ruolo che volevano assumere sulla scena globale: quello di salvatori della democrazia, a discapito di tutto e di tutti, pronti a intervenire repentinamente e massicciamente per troncare sul nascere qualsiasi flebile, apparente minaccia.
Il rapper I-NZ – I come Iraq, il paese d’origine dei genitori, e NZ come Nuova Zelanda, dove è cresciuto – racconta tutto ciò, e molto di più, nella sua traccia This is Iraq. Il brano è una rielaborazione della canzone di Childish Gambino, This is America, e, proprio come l’originale, ha l’obiettivo di denunciare controversie e crimini degli Stati Uniti – nonostante il titolo.
I-NZ nasce in Scozia da genitori iracheni e, soprattutto con This is Iraq, dichiara di “rappresentare una grande percentuale di iracheni, costretti a vivere all’estero come conseguenza di ciò che succede in Iraq da una ventina d’anni. In definitiva, la mia musica parla per tutti gli iracheni, sia che vivano in Iraq, sia che vivano all’estero” (fonte: Arabnews).
This is Iraq, che ad oggi supera le 7,7 milioni di visualizzazioni su YouTube, è un forte grido di denuncia che arriva sia all’ascoltatore che allo spettatore.
Il videoclip si apre con una scena tanto spoglia quanto allusiva. Un anziano signore, vestito in abiti tradizionali, strimpella l’oud – strumento musicale tipico – seduto su un tappeto. I-NZ, con indosso una tunica, si unisce all’uomo, a completare un quadro semplice ma rappresentativo di un Iraq pacifico, ricco di tradizioni e usanze. Il richiamo all’identità originaria della nazione continuerà durante tutto il brano, grazie anche a numerosi versi in arabo.
Proprio mentre i due protagonisti si godono la musica, sul retro della scena si palesano due soldati armati. Quando la telecamera torna su I-NZ, ora in abiti da prigioniero, i soldati invadono la scena, strattonano l’artista e lo costringono a sparare all’uomo. All’Iraq.
Da qui la musica esplode e l’artista inizia a snocciolare, uno dopo l’altro, versi tanto brevi quanto intensi. Mentre lui si muove sul primo piano, alle sue spalle i ballerini e gli attori continuano a dare corpo e rappresentazione alle violenze subite dalla popolazione irachena.
This is Iraq,
look at us blowin’ up,
nobody showin’ up,
nobody ownin’ up
I cadaveri e i prigionieri iracheni si accumulano dietro il cantante, senza destare troppo stupore. Una bandiera statunitense nasconde la salma di un soldato americano, steso a terra, mentre un suo compagno lo piange. Per questa scena, che fa riflettere sull’importanza che viene data a ciascuna vita e a ciascuna morte in base alla nazionalità, I-NZ ha ricevuto numerosi commenti negativi: è stato attaccato perché la bandiera nel video tocca il terreno – considerato irrispettoso dai più patriottici – e all’artista sono arrivate persino minacce di morte.
Sayin’ we gon’ take care o’ ya
na, na, I might get shot for this
Il video continua a districarsi fra tematiche spinose, come l’innocenza perduta di intere generazioni di bambini, spesso reclutati come soldati dai miliziani, e l’abuso di droghe da parte dei gruppi di combattenti irregolari, i quali prendono ben presto il controllo dell’Iraq. Infatti, i soldati statunitensi, prima di sparire dalla scena, passano simbolicamente le proprie armi a dei miliziani che, seppur non mostrino apertamente il proprio vessillo, fanno chiaro riferimento all’ISIS.
The US taught me
Get your crystal, sand man!
Get your crystal, sand man!
Altra scena di forte denuncia è quella in cui si menziona lo scandalo di Abu Ghraib: nel 2004 venne a galla un sistema di torture e umiliazioni sistematiche, operate dai soldati statunitensi occupanti nei confronti dei prigionieri dell’omonimo carcere. La risonanza di questa clamorosa violazione dei diritti umani fu esorbitante, soprattutto perché circolarono le fotografie delle torture che i militari compivano a danni degli incarcerati.
Scatti che ritraevano prigionieri incappucciati, mutilati, spogliati, tenuti al guinzaglio, e ancora, montagne di cadaveri ammassati. Dietro di loro, i soldati americani sorridenti, con il pollice alzato.
Take your clothes off, rape!
Taking photos, Ghraib!
Il video si chiude con un prigioniero costretto a pulire un’enorme pozza di sangue, da solo, mentre I-NZ dialoga nuovamente con la rappresentazione in carne ed ossa di un Iraq antico, fiero, portatore di una cultura millenaria, cui è stato mozzato il respiro.
Le parole e le immagini di This is Iraq condensano, in pochi minuti, la storia di decenni di violenze ai danni di un intero paese. Un popolo, quello iracheno, che paga con la propria vita e il proprio sangue le decisioni di un’amministrazione lontana, che vedeva nella terra da invadere una postazione strategica per portare avanti i propri interessi a qualsiasi costo.
Il messaggio di I-NZ giunge potente, nonostante la leggerezza delle coreografie e delle movenze, e risulta difficile da dimenticare.
Ad oggi l’invasione statunitense viene letta dagli esperti come una mossa estremamente controversa, sotto molti aspetti persino fallimentare. Rimane da chiedersi se il sacrificio di migliaia di vittime e la destabilizzazione di un intero paese siano stati un prezzo equo da pagare, per combattere contro una presunta minaccia.
I-NZ dichiara di non aver mai visitato l’Iraq, essendo parte di una diaspora che non si sente sicura a rientrare, o soltanto a visitare, il paese d’origine dei propri genitori. Nonostante ciò, la sua narrazione appare nitida, lucida, agghiacciante.
Barrels on barrels on barrels (barrels!)
Food for barrels and barrels (barrels!)
Halliburtin the demolished
Delivered a mission accomplished (Bush!)
Avana Amadei
Fonti
- Arabnews, Dubai rapper I-NZ’s Childish Gambino remake ‘This is Iraq’ goes viral
- Manlio Graziano, Perché, di preciso, gli americani sono andati in Iraq?, Limes 6/2006
- France24, Rapper I-NZ’s ‘This is Iraq’: when music gets political
- CNN, I-NZ interviewed by Becky Anderson
Consiglio di approfondimento
- L’approfondimento di Dario Fabbri (Limes): L’America di Biden e il Medio Oriente