Storie di sport pt. 3 – Il Qatar: lo sport come “soft” power
Alle ultime Olimpiadi estive il Qatar ha vinto due ori e un bronzo, quello che fa strano però è che né il pesista Faris Ibrahim El-Bakh, né la coppia prima del ranking mondiale del beach volley e medaglia di bronzo olimpica Cherif Younousse e Ahmed Tijan, sono nati in Qatar. Solo il saltatore e Mutaz Essa Barshim (ormai noto anche in Italia per aver condiviso la medaglia d’oro con Tamberi) è nato nel piccolo emirato.
A questo punto qualcuno potrebbe pensare che la storia di questi atleti sia una bellissima storia di integrazione e naturalizzazione ma purtroppo non è così: il Qatar attraverso le naturalizzazioni si sta comprando gli atleti in tutto il mondo, specialmente in Africa.
La storia che ha portato il Qatar a diventare un potentato sportivo mediorientale parte all’inizio degli anni duemila quando Jassim bin Hamad bin Khalifa Al Thani, figlio dell’Emiro, prende il controllo del progetto sportivo qatariota: nasce così Aspire Zone, un centro formativo d’eccellenza per gli atleti. Costituito nel 2003 per migliorare le prestazioni sportive del Paese a livello internazionale, Aspire trova oggi la sua punta di diamante in Aspire Academy, un centro sportivo di 290.000 metri quadrati che ha lo scopo di diventare il miglio centro sportivo al mondo. L’Academy ospita annualmente i ritiri delle squadre di calcio europee e forma i promettenti giovani qatarioti in tutti gli sport giovanili vincendo sempre più medaglie. Lo stesso principe Jassim è alla base del successo calcistico del paese che grazie a Football Dream è riuscito a vincere la Coppa d’Asia del 2019 e a ottenere l’assegnazione dei Mondiali di Calcio del 2022.
Questo soft power però, non è poi così soft: strapagando le famiglie dei giovani sportivi in tutto il mondo e grazie a un’azione di scouting aggressiva, il Qatar compra letteralmente gli sportivi di mezzo mondo e li naturalizza. Almoez Ali, sudanese e miglior marcatore in Coppa d’Asia è per esempio sudanese, Bassam al-Rawi è iracheno, Pedro Miguel Carvalho Deus Correia detto “Ró-Ró” è addirittura portoghese. Molti inoltre sono i brasiliani che gravitano attorno alla nazionale di calcio. Tutti questi calciatori, dopo essere stati comprati dall’Aspire, vengono mandati a fare esperienza nelle squadre satelliti comprate dagli Emiri in Europa, squadre che risollevate dalla bancarotta diventano campi di allenamento dei giocatori più promettenti.
Così avviene anche negli altri sport: attraverso una selezione ferrea e la presenza di allenatori e scout tra i più bravi al mondo (e pagati profumatamente), Aspire mantiene i giovani e mantiene le loro famiglie inviando loro cifre esorbitanti rispetto alla vita locale, ma scarta progressivamente coloro che non si rivelano adeguati cacciandoli letteralmente dal paese se il rendimento non rispecchia quello sperato.
Se a Rio 2016 tra le fila del Qatar si trovavano corridori sudanesi, pugili tedeschi e pallamanisti slavi, ma il paese non ottenne il successo sperato, a Tokyo 2020 il Qatar ha vinto un oro grazie all’egiziano naturalizzato Fares El-Bakh nel sollevamento pesi, un oro ottenuto dal qatariota Mutaz Essa Barshim (nato da genitori sudanese) nel salto in alto e un bronzo nel beach volley da una coppia di origine del Gambia e del Senegal. Il progetto del piccolo Emirato sta funzionando ma a che prezzo? Il CIO e la FIFA se ne sono accorti e provano a limitare i danni ma la ricchezza qatariota abbatte ogni regola e confine.
Per approfondire
- Il Post, Le ambizioni sportive del Qatar, sport, 5/8/2021, Le ambizioni sportive del Qatar – Il Post
Luigi Toninelli