Italia e Libia: un’amicizia storica

Sono tanti i motivi che legano l’Italia alla Libia, a partire dal 1881: la Francia occupa la Tunisia, paese con cui l’Italia aveva stretto accordi che annunciavano una possibile colonizzazione, ma “lo schiaffo francese” di Tunisi spinse la Penisola a tentare le sue conquiste più ad est. Era il 1911 quando le truppe italiane sbarcarono a Tripoli per conquistarne il territorio, approfittando della debolezza dell’Impero ottomano, il quale solo l’anno dopo chiese un armistizio. Le parti firmarono allora la pace di Losanna, documento nel quale si riconosceva all’Italia il controllo delle regioni libiche di Tripolitania e Cirenaica. Tuttavia l’occupazione non portò all’economia italiana i benefici sperati, poiché l’area era prevalentemente desertica e povera di materie prime, se non per i giacimenti petroliferi che verranno scoperti soltanto dopo la seconda guerra mondiale. Il territorio poco fertile non fermò i migliaia di italiani che nonostante ciò, negli anni a venire, si trasferirono nel paese aprendo fabbriche ed imprese.

Dopo aver perso definitivamente il controllo della Libia nel 1947, questa venne amministrata per un breve periodo da Francia e Gran Bretagna, finché non raggiunse l’indipendenza nel 1951 e il Regno Unito di Libia divenne una monarchia guidata da re Idris.
Negli anni quaranta furono scoperti grandi campi di idrocarburi e i primi litri di oro nero cominciarono così ad essere estratti: i forti interessi economici, soprattutto per quel che concerne l’approvvigionamento energetico da parte italiana, hanno fatto sì che i rapporti tra Italia e Libia perdurassero nei decenni. Dal 1959 la famosa azienda di idrocarburi italiana Eni iniziò ad impegnarsi in territorio libico per attività di esplorazione, sviluppo ed estrazione di petrolio.

Il 1969 è l’anno del golpe militare guidato da Muhammar Gheddafi, il quale salì al potere e diede inizio a un periodo di tensione tra i due paesi: nazionalizzò i possedimenti italiani in Libia e nel giro di un anno gli italiani residenti nel paese furono costretti ad abbandonarlo, vedendo confiscati i loro beni. L’evento venne inaugurato come il “Giorno della vendetta”, celebrato negli anni a venire per commemorare l’espulsione degli stranieri ed eliminato soltanto dopo la firma del Trattato di Bengasi del 2008.

Poco dopo era però già in atto una politica di riavvicinamento: varie intese stipulate da Giulio Andreotti nel 1972 permisero ad alcune società italiane di fare ritorno in Libia e di dare avvio a un partenariato tra Eni e la Libyan National Oil Company (lnoc), parallelamente alla fornitura di armi militari italiane all’esercito di Gheddafi. Inoltre nel 1976 la società finanziaria Lafico (Libyan Arab Foreign Investment Company) acquistò il 15% della Fiat.

I difficili rapporti internazionali

Nonostante l’avvicinamento degli Stati Uniti ai leadership del mondo arabo, culminato nel 1978 con gli accordi di pace di Camp David, la Libia decise di portare avanti le sue aspirazioni egemoniche in Africa e di schierarsi contro l’Occidente. La tensione con gli Stati Uniti era già alta, e raggiunse l’apice con un attentato compiuto nel 1986, quando in una discoteca di Berlino frequentata da soldati Nato vennero uccisi due americani e ferite più di cinquanta persone. L’esercito di Washington rispose con un bombardamento su Tripoli e Bengasi, operazione conosciuta con il nome di El Dorado Canyon. Negli anni ottanta Gheddafi portò avanti la sua ideologia anti-israeliana e anti-americana, arrivando a sostenere gruppi terroristici come il palestinese “Settembre Nero”: mossa che valse alla Libia le accuse di sponsorizzare il terrorismo internazionale.

Dopo essere stata isolata a livello internazionale, l’Italia sembrò essere il suo unico interlocutore occidentale rimasto: nonostante i rapporti tra i due paesi subirono un duro colpo quando, sempre nel 1986, un missile lanciato da Tripoli cadde nelle acque di Lampedusa, alcuni studiosi affermano addirittura che la Libia fosse riuscita ad evitare di essere schiacciata dagli attacchi su Tripoli e Bengasi grazie all’avvertimento arrivato dall’allora Presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi.
Nel 1992 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione 731, con la quale la Libia era “invitata” ad allontanare i sospettati terroristi dal proprio territorio, invito che fu rinnovato con toni più decisi con la Risoluzione 748. Lo stato libico rifiutò tali richieste con conseguente embargo su tutte le vendite di armamenti. LA Libia si rese però conto che l’isolamento avrebbe svantaggiato la sua economia, e fece degli sforzi per reinserirsi nel dialogo internazionale.

La normalizzazione dei rapporti

Dopo le sanzioni alla Libia da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, solo negli ultimi vent’anni si è parlato di normalizzazione: in una lettera indirizzata all’ONU proveniente da Tripoli, nel 2003 il paese si impegnò a non partecipare al terrorismo internazionale e alla costruzione di armi di distruzione di massa, impegni che nello stesso anno gli valsero la revoca delle sanzioni e la rimozione dalla lista degli “Stati canaglia”.

A questi cambiamenti seguì una nuova fase dei rapporti tra Italia e Libia: l’intesa raggiunta tra Silvio Berlusconi e Gheddafi nel 2003 prevedeva la costruzione di un ospedale e dell’autostrada Tripoli-Bengasi, più un piano di sviluppo dei rapporti commerciali.

Il Trattato di Bengasi

Si arrivò così a uno dei documenti più importanti: il “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione”, firmato a Bengasi nel 2008 e ratificato l’anno successivo, rappresentò un vero e proprio partenariato tra Italia e Libia e, oltre alla cornice di collaborazione, comportò anche notevoli oneri finanziari a carico dell’Italia. Al suo interno prevede infatti dei risarcimenti italiani alla Libia – che ammontano a 5 miliardi di dollari – per i danni arrecati durante il passato coloniale, in cambio di una cooperazione in settori quali la lotta al terrorismo e all’immigrazione clandestina. In ottemperanza a questi accordi, tra il 2009 e il 2011 gli sbarchi di immigrati clandestini in partenza dai porti libici e diretti verso le coste italiane diminuirono del 99%, e alcune società italiane – tra cui Unicredit, Beretta e Finmeccanica – aumentarono le loro attività nello Stato nordafricano.

Il Trattato è suddiviso in tre parti: nella prima si trovano i principi generali, secondo i quali le parti si impegnano a “non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra Parte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite”, a non compiere atti ostili nei confronti dell’altra e ad agire nel rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, risolvendo pacificamente le controversie.
Nella seconda parte invece si parla degli obblighi italiani: il fondo di 5 miliardi di dollari verrebbe gestito direttamente dal Governo di Roma ed è spalmato nel corso di 20 anni, con l’esborso di 250 milioni di dollari annuali per la costruzione di infrastrutture in Libia.

L’ultima parte relativa al partenariato è volta a promuovere le relazioni tra i due paesi, specialmente in ambito energetico – settore in cui la cooperazione ha portato grandi benefici ad ambe le parti, soprattutto grazie alla presenza dell’Eni – e nel campo della difesa: non a caso l’Italia è il primo paese europeo per esportazioni di armi verso la Libia.
Nel 2009 Gheddafi si recò per la prima volta a Roma, e durante la visita indossò una maglietta sulla quale vi era ritratto Omar al-Mukhtar, eroe della resistenza libica anti-italiana. Durante il suo soggiorno, nonostante non fosse qualificato in scienze religiose – ʿulūm dīniyya – tenne delle lezioni sul Corano a circa 500 hostess, affermando che l’Islam dovrebbe essere la religione di tutt’Europa: per questi motivi l’opinione pubblica italiana sollevò non poche polemiche rispetto alla sua presenza.

Il controverso ruolo nella lotta all’immigrazione clandestina

L’assistenza dell’Unione Europea alla guardia costiera libica è iniziata nel 2016, così come gli intercettamenti di migranti in mare. La cooperazione è poi aumentata con l’adozione di un Memorandum d’intesa, firmato da Italia e Libia nel 2017, e con la Dichiarazione di Malta a cui hanno preso parte i leader dell’UE. Alla base di questi accordi vi è l’affidamento della sorveglianza del Mediterraneo centrale alla guardia costiera libica, attraverso la fornitura di motovedette, di un centro di coordinamento marittimo e di attività di formazione. Grazie alla creazione di una zona SAR libica, ovvero un’area marittima in cui la Libia è responsabile delle operazioni di ricerca e soccorso, che gli consente così di riportare sulla terraferma persone intercettate in mare, nonostante il principio di non respingimento afferma sia illegale riportare persone in un luogo nel quale rischiano di subire gravi violazioni dei diritti umani. La Libia non ha però preso parte alla Convenzione di Ginevra, documento in cui il principio è sancito, il che sembrerebbe legittimarla nell’agire. Nel paese migranti e i rifugiati, sia dentro che fuori dai centri di detenzione, subiscono sistematicamente violazioni da anni denunciate da Amnesty International: il governo italiano è continuamente sollecitato a sospendere il Memorandum e ad incitare gli stati europei nel rivedere le politiche che favoriscono gli intercettamenti in mare e il ritorno dei migranti in Libia.

Purtroppo la situazione non promette grandi miglioramenti: nel paese vige una forte instabilità, che favorisce così la partenza di importanti flussi migratori.

Alessandra Soldi


Fonti

  • Natalino Ronzitti, Il Trattato Italia-Libia di amicizia, partenariato e cooperazione
  • Le relazioni tra Italia e Libia: interessi e rischi, www.ispi.online
  • Caterina Roggero, Storia del Nord Africa indipendente

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