Emirati Arabi Uniti: un astro nascente nello scenario internazionale
Expo 2020 Dubai, Abu Dhabi Economic Vision 2030, l’incremento del turismo e dell’internazionalizzazione degli Emirati Arabi attraverso una sempre più estesa apertura verso l’Occidente: gli Emirati Arabi Uniti appaiono ormai come un astro nascente nella scena internazionale, grazie alla crescita economica affrontata negli ultimi vent’anni.
Ma da dove nasce la prosperità che ha reso celebre il Paese, e come è effettivamente composto?
Il Paese è una federazione governata da una monarchia assoluta che domina su sette emirati: Abu Dhabi, Dubai, Sharjah, Ajman, Umm al Quwayn, Fujairah e Ras al Khaima. Dall’unione di questi sette deriva il nome del Paese, “Emirati Arabi Uniti”.
L’area della Penisola Arabica che comprende l’attuale area di presenza degli Emirati Arabi Uniti cominciò ad avere una particolare rilevanza durante il XVIII secolo, grazie all’ascesa della tribù dei Qawasim, localizzata nell’attuale area di Ras al Khaima, nel lato orientale del Paese. L’economia della zona si basava principalmente sulla pesca e sulla raccolta delle perle, oltre che su un fruttuoso commercio navale; non di minore rilevanza nella regione era anche la presenza britannica, già consolidata alla fine del XVIII secolo con la Compagnia delle Indie Orientali. In principio, l’influenza britannica era limitata all’area della penisola indiana e i suoi dintorni, ma arrivò presto ad estendersi fino al raggiungimento della penisola arabica.
Nel 1820, tensioni tra la tribù dei Qawasim e l’impero britannico portarono alla distruzione della flotta dei Qawasim per mano della Gran Bretagna, e segnandone dunque l’ingresso nell’area arabica.
Dal 1820, la presenza britannica permase fino al 1971, anno in cui gli Emirati Arabi Uniti proclamarono la loro creazione. Durante questa fase di dominazione, la presenza britannica fu caratterizzata da un’alternanza di accordi commerciali e di difesa con i diversi sceiccati presenti nella regione e attacchi militari contro gli stessi; la stessa influenza continuò all’inizio del Novecento, con la scoperta del petrolio nell’area, e l’abbandono della regione nel 1971 a seguito del sorgere del nazionalismo arabo durante la metà del Novecento.
Gli sceiccati e le coalizioni di tribù esistenti nel territorio avevano creato nel corso degli anni una serie di trattati e accordi di non belligeranza e collaborazione fra di loro, che gli valse il nome di “Trucial States”. La prassi per i Trucial States era di discutere e collaborare a livello amministrativo a cadenza annuale, fino a giungere a creare l’unione degli Emirati Arabi Uniti nel 1971, che includeva sei emirati (Ras al Khaima si unì l’anno successivo, nel 1972).
L’unione tra le diverse parti fu resa possibile dall’iniziativa dello sceicco di Abu Dhabi Zayed ibn Sultan al Nahyan: impegnato nelle relazioni con le aree orientali e meno abbienti che corrispondono oggi ai cinque emirati di Sharjah, Ajman, Ras al Khaima, Umm al Quwayn e Fujairah, e in collaborazione con lo sceicco di Dubai Rashid ibn Saeed Al Maktoum, si andò di fatto a costruire la federazione sotto la guida dei due emirati più ricchi.
Successivamente, la struttura federale venne costituita di maniera da attribuire numerose responsabilità dal punto di vista amministrativo all’emirato di Abu Dhabi, il cui sceicco rimase presidente della Federazione fino alla sua morte, nel 2004. L’attuale presidente è il figlio di Zayed bin Sultan al Nahyan, ovvero Khalifa bin Zayed al Nahyan. Infine, il 2021 è stato l’anno del “Giubileo d’Oro” del Paese, che ha compiuto il 3 dicembre i suoi primi cinquant’anni di vita. L’evento è stato festeggiato con tre giorni di festa nazionale e una grande mobilitazione da parte delle autorità locali nonché degli abitanti sul suolo emiratino.
Tutti gli Emirati dipendono molto dall’influenza e dall’economia di Abu Dhabi, che rimane egemone nel suo ruolo di saldatore tra le varie parti.
Una dimostrazione di ciò è il prestito di 10 milioni di dollari effettuato da Abu Dhabi nei confronti del secondo emirato più ricco, Dubai, durante la crisi del 2009, che gli permise di non deragliare dal suo ruolo di principale investitore nell’area degli immobili di lusso, nonché di mantenere una relativa stabilità economica nonostante la grande crisi. Grazie a questo prestito, infatti, Dubai riuscì ad inaugurare con successo l’edificio più alto del mondo, il Burj Khalifa, nel 2010. L’emirato di Dubai ha continuato a crescere a ritmi estremamente spediti, coronando alla fine del 2021 l’inaugurazione, nel lato occidentale, dell’Expo 2020 Dubai. Rimandata di un anno a causa della pandemia ma rimasta invariata nel nome, l’Esposizione Universale ha permesso agli Emirati di presentarsi al mondo in grande, fungendo – almeno idealmente – da polo di mediazione per la collaborazione tra le nazioni, attraverso conferenze, accettazioni di accordi ed eventi culturali che includono diverse aree del mondo. L’Esposizione è inoltre fonte di grande crescita per la città e per l’Emirato di Dubai, in rivalsa rispetto all’emirato di Abu Dhabi, contro cui Dubai resta un eterno secondo.
Attraverso una graduale apertura verso l’Occidente, visibile soprattutto nei principali due emirati di Abu Dhabi e di Dubai, gli Emirati Arabi Uniti stanno cercando, negli ultimi anni, di richiamare l’attenzione e gli investimenti internazionali, e soprattutto occidentali, su di sé. Specialmente nelle grandi città, dove la percentuale di popolazione locale è bassissima (la percentuale di Dubai si aggira intorno al 10%), l’attrattiva per i lavoratori stranieri è alta. Tuttavia, è possibile individuare una discrepanza non indifferente tra i lavoratori provenienti da Paesi occidentali, la cui posizione all’interno del Paese è di evidente rilievo e privilegio, rispetto a lavoratori provenienti da zone dell’Asia che discostano dal Golfo: vi è una percentuale estremamente elevata di lavoratori provenienti da Pakistan, India, Filippine, Bangladesh, la cui manodopera viene sfruttata a prezzi molto bassi, allo scopo di fornire l’immagine di una nazione in crescita e in grado di raggiungere le vette più alte.
Un altro elemento contraddittorio è il concetto di nazione e di nazionalità stesso all’interno della federazione emiratina: il percorso per ottenere la cittadinanza piena, a patto di nascere da genitori emiratini, risulta quasi impossibile. I migranti e le generazioni di cittadini che abitano il suolo emiratino ma i cui genitori e le cui origini non appartengono agli Emirati Arabi Uniti difficilmente percepiscono un senso di cittadinanza o di nazionalità, né si sente “emiratino”, in quanto il termine assume un senso solo se utilizzato per indicare i locali, posizionati in una condizione economica di estremo privilegio. Il Paese risulta dunque non avere interesse nella costruzione di un sentimento nazionale che coinvolga tutti i suoi abitanti, ma piuttosto costruisce un punto di ritrovo per una moltitudine di personalità provenienti da tutto il mondo, che vedono nelle principali città – Abu Dhabi e soprattutto Dubai – una possibilità di slancio o di approdo temporaneo.
Gli Emirati stanno dunque cercando di posizionarsi in un ruolo di sempre maggiore rilevanza nello scenario internazionale, non in ultimo luogo attraverso un’apertura maggiore a diverse abitudini e usanze occidentali negli emirati di Abu Dhabi e di Dubai, che si intrecciano con la miriade di culture che occupano le aree urbane delle grandi città. I due principali emirati fungono da “vetrina” per la presentazione del Paese al mondo, e si trovano in rilievo rispetto agli altri emirati più piccoli e meno abbienti, che rimangono invece in una posizione di relativa apertura.nLe contraddizioni sociali presenti all’interno del Paese vengono facilmente sorpassate dal lusso e dall’apparenza delle grandi città, nonché dalle opportunità che queste offrono, confermando per il momento un successo nella loro presentazione di astro nascente e nell’attrattiva che forniscono al mondo occidentale e non.
Chiara Ricchiuto