I Berberi: uomini e donne liberi?

Cosa hanno in comune il calciatore francese Zinédine Zidane, il mito di “Amore e Psiche” e il filosofo e vescovo Sant’Agostino? Una sola cosa: sono tutti di origine berbera.

I genitori del calciatore marsigliese sono infatti berberi dell’Algeria, uno fra i paesi con la maggior percentuale di popolazione indigena insieme al Marocco. Apuleio, l’autore di “Amore e Psiche”, era berbero, e alcune ricostruzioni storiche identificano l’origine del mito in una fiaba della tradizione orale della Cabilia (regione algerina a maggioranza berbera). Sant’Agostino era nato nell’allora (IV secolo d.C.) Tagaste, attuale Souk Ahras, una città algerina vicina al confine tunisino.

Foto di Luciano D’Angelo, fonte: CNR.it

I berberi sono la popolazione autoctona del Maghreb (qui per la nostra definizione di Maghreb), una regione che abitano da tempo immemore. Il nome che danno a se stessi è Imazighen, ovvero uomini liberi. Consultando alcune fonti fenicie, greche e romane si possono leggere testimonianze della loro presenza nel Nord Africa, ma gli storici fanno risalire le prime prove della loro esistenza nel continente al Paleolitico Superiore.

La parola “berbero” deriverebbe dal greco e avrebbe un’etimologia simile a quella di “barbaro”: entrambi i termini originali designano una popolazione la cui lingua risulta sconosciuta e incomprensibile (البربر, al-barbar in arabo).
Al giorno d’oggi gli Imazighen sono circa 36 milioni, tuttavia si stima che la stragrande maggior parte dei nordafricani abbia discendenza berbera.
Le lingue berbere sono di ceppo camo-semitico: nella famiglia camitica rientra, fra le altre, l’egizio antico (e la sua fase finale di evoluzione, il copto); mentre fra le lingue semitiche si annoverano l’ebraico e l’arabo.

Il popolo degli uomini liberi si raccoglie sotto una bandiera a strisce di colore blu, come il mar Mediterraneo, verde, come le pianure, e giallo, come la sabbia; sulle quali troneggia, in rosso come il sangue dei caduti, la lettera Z dell’alfabeto berbero: .

Fonte: me-dia-re.it

L’organizzazione degli Imazighen è prevalentemente tribale, caratteristica da cui deriva una certa frammentazione socio-culturale, ma molte tribù presentano una comune impostazione matriarcale. Non tutti i berberi sono nomadi, ma quelli che lo sono si spostano fra le dune del Sahara con le proprie tende e i cammelli, animali da cui dipende gran parte della loro economia.

Le tribù stanziali sono grandi allevatrici e agricoltrici: molto conosciuto è l’olio di argan di produzione berbera, frutto della lavorazione a freddo dei frutti dell’omonima pianta. Inoltre, le piantagioni di cannabis marocchina sono concentrate nella regione nordica del Rif, a maggioranza berbera, la stessa popolazione che vi lavora. Altro settore a cui gli uomini liberi si dedicano è il commercio: da sempre, con le loro traversate del deserto, costituiscono il più significativo ponte di comunicazione fra le diverse città situate ai confini del Sahara, per le quali trasportano e vendono merci.

La storia di questi popoli, fra i quali spiccano i Tuareg, conosciuti come gli uomini blu per il colore delle vesti, è strettamente intrecciata con la storia araba. Quando gli arabi della penisola invasero il Nord Africa, nel VII secolo, portando la lingua araba e la religione musulmana e dando inizio alla loro dominazione del Medio Oriente, la popolazione autoctona non si piegò. La conversione all’Islam fu pressoché totale e gli Imazighen impararono l’arabo, ma riuscirono ad avere un ruolo cruciale nel governo del Marocco e dell’Andalusia. Tuttora le lingue e il retaggio berberi sono un tassello fondamentale, seppur non sempre riconosciuto, dell’identità nordafricana.

Foto di Luciano D’Angelo, fonte: CNR.it

Degna di nota è anche la resistenza berbera alla colonizzazione. Nel 1830 la Francia instaurò il suo protettorato in Algeria, ma non riuscirono a sottomettere le aree a maggioranza indigena per i successivi trent’anni. In Marocco, all’inizio del XX secolo, per contrastare l’invasione europea, si creò persino una Repubblica indipendente nella già menzionata regione del Rif.

Il Marocco ottenne l’indipendenza nel 1956 e l’Algeria nel 1962, ma essersi sbarazzati della potenza colonizzatrice non si tradusse automaticamente in maggiori libertà per gli Imazighen. Durante l’esperienza coloniale i francesi, in un’ottica di divide et impera, non si erano fatti scrupoli a rimarcare delle presunte e insanabili differenze culturali fra arabi e berberi. Negli anni successivi all’indipendenza l’ideologia più diffusa in Medioriente era il panarabismo: un tentativo ideologico di unificazione, sulla base di un passato comune e di un futuro condiviso fra tutti i paesi di retaggio arabo, in risposta a decenni di divisioni. I gruppi berberi, portatori di una cultura fiera e diversificata, non rientravano nel progetto di stati-nazione omologati, che facevano dell’essere puramente arabi un motivo d’orgoglio.

Nei decenni successivi all’indipendenza si verificò un periodo di generale repressione dei gruppi autoctoni, sia direttamente che indirettamente.

Nel 1980, ben prima delle più conosciute primavere arabe, scoppiò la primavera berbera. Al divieto del governo algerino di tenere una conferenza sulla poesia berbera antica il popolo rispose con delle rivolte, represse nel sangue, ma che diedero vita ad alcuni gruppi politici ancora attivi.

Nel 2001 si verificò la ancor più sanguinosa primavera nera, di cui gli Imazighen si resero protagonisti. La goccia che fece traboccare il vaso fu l’uccisione immotivata di un giovane della Cabilia: questa ingiustizia portò la popolazione della regione, in maggioranza berbera, a scendere in piazza e protestare. Nonostante la scarsa copertura degli eventi da parte dei media europei, seppure il numero di morti non fosse indifferente, gli avvenimenti del 2001 segnano un’importante presa di coscienza per le comunità berbere.

Foto di Luciano D’Angelo, fonte: CNR.it

Dall’inizio del XXI secolo, Rabat e Algeri si sono mosse in direzione di un sempre maggior riconoscimento del ruolo dei berberi nella storia e nella cultura dei rispettivi paesi. Dopo le primavere arabe del 2011, il re marocchino Mohamed VI ha rispettato la volontà del popolo, espressa tramite referendum, di inserire nella Costituzione un riferimento all’identità berbera del Marocco – oltre ai preesistenti riferimenti al carattere arabo e musulmano. Alle lingue degli Imazighen è stato dato maggior spazio nel percorso accademico e scolastico. In Algeria, dal 2002, il berbero è la seconda lingua nazionale e nel 2017 l’ex presidente Bouteflika aveva tentato di far riconoscere il Capodanno berbero come festa nazionale.

La situazione odierna degli uomini liberi non si può tuttavia definire rosea. La discrepanza fra ciò che viene sancito dalle Costituzioni e ciò che si verifica nella realtà è spesso significativa. Simbolico è il trattamento dei berberi sotto la dittatura di Gheddafi, in Libia: reputati cittadini di serie B, cui era riservata unicamente la carriera militare o quella di guida turistica, oggi molti berberi combattono in prima linea in una Libia devastata da un conflitto che, dal 2011, non vede fine.

Intervistato da Vice, un combattente tuareg dice: “After revolution, we had many guns, but we didn’t have any ideas”. In molti lamentano la concreta mancanza di alternative per una popolazione cui viene sistematicamente negato l’accesso a istruzione di qualità e carriere di buon livello. L’investimento per un reale inserimento socio-educativo, rivolto soprattutto alle fasce più giovani, potrebbe finalmente rendere giustizia al nome di questi popoli, che si vogliono liberi.

Avana Amadei

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