Un Eroe di Asghar Farhadi: il dubbio tra furbizia e ingenuità

Rahim Soltani sale i gradini di un’impalcatura molto alta situata nel sito archeologico di Naghsh-e rostam per dei lavori di restauro, a cinque chilometri da Persepolis: un movimento verticale lo riprende dal basso; a tratti possiamo vederlo salire le scale ma la maggior parte della sequenza sembra coperta da quel reticolo di impalcature, tubi e rumori che lo nascondono, formando un labirinto fragile e interminabile dal quale non possiamo uscire visivamente. Arrivato in cima, Rahim chiede perché debba già scendere dato che è appena salito: ancora non sa, e noi con lui, che questa sarà la dimensione dentro la quale continuerà a muoversi per tutto il film, da una vertiginosa ascesa eroica all’improvvisa caduta libera. Si apre così Un eroe, con le riprese di un luogo in cui il rilievo più antico riporta la raffigurazione del mito eroico persiano per eccellenza: Rostam.

A Shiraz Rahim Soltani (Amir Jadidi) sta scontando una pena in carcere poiché debitore di un prestito che non può saldare: si tratta di una somma di denaro non indifferente che al protagonista è impossibile corrispondere ma che il suo creditore, Bahram l’ex cognato (Mohsen Tanabandeh), pretende di riavere. La nuova compagna di Rahim, Farkhondeh (Sahar Goldust), trova una borsa piena di monete d’oro che si rivelano come l’inattesa speranza del protagonista di pagare i debiti e uscire di prigione. Senza indugio Rahim prova a vendere l’oro ma scopre che la somma a cui arriverebbe non è sufficiente per coprire la cifra necessaria, così decide di restituire la borsa con le monete lasciando un annuncio sulle vetrine dei negozi della zona nella speranza il proprietario lo legga. La presunta padrona dell’oro contatta Rahim in prigione e si reca a casa della sorella che le restituisce la borsa. Rahim diventa l’eroe del carcere, della televisione e dei social media tanto che un’associazione umanitaria organizzerà una raccolta fondi in suo nome alla quale parteciperà con il figlio balbuziente. Il protagonista però non rimarrà per molto tempo nella posizione di indiscusso eroe nazionalpopolare, tanto da far dubitare del suo nobile gesto per una serie di eventi che gli si ritorceranno contro.

Impossibile nessuno si sia chiesto, dopo aver visto A Hero, se davvero il protagonista fosse sincero: impossibile non aver dubitato nemmeno per un secondo che quell’eroica azione non fosse solo la conseguenza del non poter raggiungere la somma di denaro da restituire al suo creditore: cosa avrebbe fatto se il valore in toman delle monete fosse stato abbastanza? Ad un certo punto uno dei due responsabili del carcere si rivolge al protagonista chiedendogli se sia più furbo o più ingenuo: una domanda che si rivela come un’interessante traccia da seguire.

Sul film si potrebbero fare anche una serie di considerazioni riguardo alla quantità di sottofondi critici alla società iraniana: l’associazione che sembra cambiare gli interessi a seconda del riscontro mediatico e della popolarità di chi devono sostenere, l’ambiente carcerario che manipola a sua volta il detenuto e le false speranze di un impiego che non gli viene concesso; bisogna tener presente, però, che se questi elementi nel film cambiano faccia, lo fanno anche tutti gli altri. Chi può dire per certo che Rahim Soltani sia mosso solo da nobili cause? Gli verrà chiesto perché sull’annuncio del ritrovamento della borsa abbia lasciato proprio il numero del carcere e non quello di casa della sorella, perché il figlio che ha difficoltà nell’esprimersi oralmente sale su un palco facendo un discorso a lui dedicato durante la raccolta fondi e poco dopo lo stesso Rahim dirà a uno dei direttori del carcere che non vuole lo si compri con la balbuzie del figlio, stesso giovane ragazzo che qualche giorno prima aveva fatto una dichiarazione strappalacrime davanti a una centinaia di persone. Forse ci si dovrebbe chiedere cosa porta lo spettatore a provare tanta empatia nei confronti del protagonista nonostante le poche informazioni che ha di lui: non sappiamo perché la moglie lo ha lasciato; più volte c’è un’intenzione di spiegare il passato di Rahim ma Farhadi, come sempre, nega la risposta. Solo di una cosa siamo al corrente: anche Rahim non ha detto le cose come stanno.

Questo è il cinema del dubbio che finalmente, dopo la parentesi spagnola di Tutti lo sanno (2018) e nel 2013 quella francese con Il Passato, torna in Iran dove il suo ingrediente migliore, l’assenza di risposte, fa di A Hero un’opera che non solo ha vinto il Gran Premio speciale della giuria a Cannes 2021 ma il regista con tutto il cast ha ricevuto una standing ovation e cinque minuti di applausi dopo la proiezione.

Un eroe riprende quei temi a cui il regista iraniano resta fedele dal successo di Una separazione (2011) e Il Cliente (2016) in cui una scrittura apparentemente semplice sottolinea le incertezze ed evidenzia le parole mancanti che fanno del dramma un sapiente intreccio di emozioni, capace di restituire insicurezza tra uno stacco e l’altro.

Farhadi non vuole impressionare lo spettatore regalandogli l’inquadratura teatrale di Naghsh-e rostam alla fine dell’opera, tant’è che decide di metterla all’inizio e per di più con un’impalcatura davanti e dei rumori di fondo che non lasciano spazio alla contemplazione, forse perché il contemplare il dubbio è l’unico lusso e verità che ci deve restare alla fine del film.

Erika Nizzoli

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